Lavoro & Precari

Ex Ilva, il pacco di Natale: la società non paga l’indotto, 3.500 operai senza stipendi e tredicesima. I sindacati: “Lavoratori usati come scudo”

Niente stipendi. Niente tredicesima. E nemmeno il pagamento dei contributi. La crisi che sta strangolando di nuovo l’ex Ilva di Taranto si abbatte con un effetto domino devastante anche sulle aziende metalmeccaniche dell’indotto. Che, per intenderci, significano 3.500 dipendenti. Almeno quelli che fanno parte delle ditte riunite in Aigi, l’Associazione indotto e general industries. Perché, se si considera l’intera platea di lavoratori che oggi è a rischio collasso, allora i numeri si alzano e di parecchio: 10mila dipendenti di Acciaierie d’Italia, la società pubblico-privata che gestisce gli impianti, e altrettanti per tutto l’indotto.

Il primo “pacco” di Natale – I 3.500 assunti dalle imprese che sono sotto l’ombrello di Aigi hanno ricevuto una comunicazione senza appello: “Lo stato di profonda crisi in cui versano le nostre imprese, a causa dei mancati pagamenti da parte di Acciaierie d’Italia – si legge in una lettera indirizzata alle segreterie regionali e nazionali di Fiom, Uilm, Usb e Fim – ci vedono costretti a non poter far fronte, per questo mese, al pagamento di stipendi, tredicesime, oneri fiscali e previdenziali”. Un primo “pacco” di Natale, al quale rischia di seguire anche il naufragio della trattativa tra ArcelorMittal e Invitalia, la controllata del ministero dell’Economia socia di minoranza in Acciaierie d’Italia, sul rifinanziamento della società per garantirne la sopravvivenza.

“Sempre meno commesse” – Non un fulmine a ciel sereno visto che, nella lettera, si fa riferimento a “richieste di incontri e ad appelli più volte lanciati”, al management della società, alla presidente del Consiglio dei Ministri e ai ministri Adolfo Urso e Raffaele Fitto, ma “rimasti lettera morta”. Il punto è che le imprese non incassano le fatture già emesse, né si vedono recapitare nuove commesse. “Da mesi – denunciano – registriamo riduzione totale delle commesse, blocco di quelle acquisite e sulle quali avevamo investito ingenti risorse”. La cifra del credito vantato sino ad oggi si aggira sui 90 milioni di euro. Senza spiraglio alcuno sul futuro. I ritardi nei pagamenti, che pure sino a ora si sono aggirati sui 180-210 giorni, sono stati “tollerati” ma hanno fatto sì che si desse fondo alle risorse, arrivando oggi ad aver raschiato tutto il fondo del barile e non poter nemmeno pagare gli stipendi.

“Un pretesto contro il governo” – Una situazione che, però, per l’Usb è “pretestuosa e strumentale”. Secondo Franco Rizzo e Sasha Colautti, dell’esecutivo nazionale Usb, Aigi – considerata vicina ad ArcelorMittal – con questa mossa vuole solo “spingere il governo, per evitare disordini sociali, a elargire ancora più risorse pubbliche che verranno puntualmente dilapidate dal socio privato”. Di più, ad essere contestata è anche la tempistica: la situazione – fanno notare – era nota da tempo, ma Aigi “si sveglia solo oggi con una comunicazione che, sotto Natale, è inaccettabile”. La crisi del siderurgico, fanno notare, porta anche i lavoratori dell’indotto a vivere con la costante spada di Damocle sulla testa del mancato rinnovo del contratto, con uno stipendio che non va oltre i 1.200 euro mensili, nemmeno corrisposti con le festività in arrivo. Stessa lunghezza d’onda di Francesco Brigati e Patrizio Di Pietro della segreteria Fiom di Taranto si tratta di “un atto non solo illegittimo e lesivo della dignità dei lavoratori, che impediremo anche con iniziative di mobilitazione”, ma è “riprovevole sia nelle modalità con cui ciò avviene e sia per il fatto che gli stessi lavoratori vengano utilizzati come scudo” per “risolvere questioni” tra le imprese di appalto dell’ex Ilva e i manager di ArcelorMittal.

La lettera al prefetto – La stessa Fiom, insieme a Uilm e Fim, ha inoltre scritto una lettera al prefetto di Taranto accusando l’Aigi di usare i lavoratori come “scudo” e accusando il management di ArcelorMittal, che esprime l’ad Lucia Morselli, di continuare “ricattare i lavoratori, la comunità ionica e il governo tenendo sotto scacco la fabbrica”. Aigi – accusano i sindacati – sta scaricando sui dipendenti “scelte assunte dalle stesse aziende che hanno deciso”, insieme a Morselli, il pagamento delle fatture a 6-7 mesi. Quindi la richiesta di un intervento per evitare “problemi sociali anche dal punto di vista di ordine pubblico”. Il sospetto dei sindacati, insomma, è che si tratti dell’ultimo ricatto del socio privato dell’ex Ilva per fare pressioni sul governo alla vigilia dell’assemblea convocata per il 22 dicembre, momento del redde rationem sul futuro della società.

L’ultimo ricatto? – Da un mese ormai ArcelorMittal si rifiuta di partecipare al rifinanziamento di Acciaierie d’Italia, nonostante ne detenga la maggioranza. Il consiglio d’amministrazione ha chiesto di investire 1,5 miliardi per comprare gli asset dall’amministrazione straordinaria, rendendo così bancabile Acciaierie d’Italia che da tempo è stritolata dai debiti (anche con i fornitori di gas) e ha necessità di almeno 320 milioni di euro a stretto giro. Al colosso franco-indiano toccherebbe versare 900 milioni. Ha già detto no e nell’ultima assemblea ha presentato una memoria di 12 pagine nella quale accusa Invitalia. Il governo non ha intenzione di cedere prima che Mittal metta nero su bianco di non voler garantire la sua parte, ma all’orizzonte appare sempre più chiaro che toccherà al pubblico provare a salvare l’Ilva prima che la crisi di produzione e finanziaria diventi irreversibile colpendo quasi 20mila famiglie e la filiera dell’acciaio italiano. Uno spettro sempre più concreto che inizia già a toccare oltre 3mila persone.