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Migranti in Albania, in un anno il costo di tutti i Cpr italiani in tre anni. Ecco la spesa che il Parlamento non doveva approvare

Dopo tante chiacchiere, almeno il nodo dei costi potrebbe venire presto al pettine. Già nel pre consiglio dei ministri di lunedì 4 dicembre, alla vigilia di un consiglio previsto per l’indomani, il governo potrebbe definire i nuovi oneri per le casse dello Stato derivanti dai centri per migranti che vorrebbe gestire in Albania. Secondo quanto pubblicato sabato 2 dal Manifesto, che riferisce il contenuto di un prospetto circolato “nelle mail dei funzionari dei ministeri coinvolti”, il protocollo firmato lo scorso 6 novembre dalla premier Giorgia Meloni col rispettivo albanese Edi Rama potrebbe costare nel solo primo anno 92,5 milioni di euro, quasi il doppio di quanto sono costati i bandi prefettizi di tutti e 10 i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) operativi in Italia nel triennio 2021-2023. E non per ospitare 3mila persone al mese, cifra dichiarata da Meloni dopo la firma dell’accordo. Ma forse meno di un quarto.

Meloni e soci avrebbero volentieri fatto a meno di far ratificare l’accordo con Tirana dal Parlamento e infatti hanno negato per settimane il passaggio obbligatorio. Ma proprio i nuovi oneri finanziari a carico dello Stato sono tra i punti previsti nell’articolo 80 della Costituzione, che impone il voto da parte delle Aule. E allora tocca iniziare a scoprire le carte, col rischio di dover rispondere a quanti si domandavano “quanto ci costerà fare in Albania quelle che già facciamo in Italia?”. “A conti fatti agli italiani costerà 100 milioni di euro rinchiudere 720 migranti al mese in Albania: questo è il prezzo assurdo dell’ideona di Giorgia Meloni”, scrive su Facebook il responsabile economia di Sinistra Italiana, Giovanni Paglia. Che rilancia le cifre del citato prospetto accusando l’esecutivo di “una spolverata di propaganda xenofoba”. Finora non si era parlato che dei 16,5 milioni di euro da anticipare a Tirana, che nel progetto si sarebbe occupata della sola vigilanza esterna ai centri, un hotspot nel porto di Shengjin con 300 posti, una struttura di trattenimento a Gjader per altri 300 e, probabilmente attiguo a questa, un Cpr da 120 posti.

Per i 10 Cpr operativi in Italia (a marzo è stato chiuso quello di Torino) con un totale di 1.100 posti, nel periodo 2021- 2023 i bandi per la gestione privata dei centri ammontano a 56 milioni di euro, come calcolato dalla Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) che lo scorso 8 giugno ha pubblicato il rapporto L’affare Cpr, reperibile online. Secondo le cifre circolate tra gli addetti ai lavori, la realizzazione dei centri avrà un costo di 36 milioni, mentre per la gestione si parla di 8 milioni. Un milione e mezzo costerebbe la commissione territoriale per l’asilo, un nuovo collegio che si occuperà delle domande d’asilo dei migranti provenienti da Paesi d’origine che l’Italia considera sicuri e che il governo confida di poter valutare con le procedure accelerate da 28 giorni. Altri 7,5 milioni costerà la strumentazione logistica e circa 40 andranno spesi ogni anno per il personale italiano di polizia, i cui viaggi di andata e ritorno dovrebbero costare 800 euro a testa, oltre ai 120 euro giornalieri per vitto e alloggio, all’indennità di 450 euro per ogni due settimane e fino a 900 euro di straordinari.

Come ricorda il Manifesto, resta fuori quanto andrà corrisposto agli enti gestori che dovranno fornire vitto e alloggio ai migranti, servizi e l’assistenza sanitaria. Per il Cpr da 120 posti che potrebbe sorgere a Gjader il paragone potrebbe essere fatto con quello di Roma e i suoi attuali 125 posti: l’appalto del 2021 di 12+12 mesi alla ORS Italia vale 7,2 milioni di euro. Tutto considerato, dai 92,5 milioni di euro per il primo anno ai 49 milioni per i successivi 4 anni, l’accordo potrebbe costare 373,5 milioni di euro. Tocca ora attendere le cifre ufficiali che il governo presenterà al Parlamento per la ratifica. Ma soprattutto sarà interessante vedere come l’esecutivo giustificherà gli ingenti costi di un’operazione che nessuno ancora sa dire se e come porterà risultati migliori di quelli conseguiti finora in Italia, sia in termini di tempi per la valutazione delle richieste d’asilo, sia per i rimpatri effettivi, che come è noto non dipendono dal trattenimento nei Cpr, ma dagli accordi con i Paesi d’origine che, a quanto si sa, restano gli stessi.