Mafie

Via d’Amelio, sulla scomparsa dell’agenda rossa i magistrati trovano 5 testimoni: “Sanno cosa accadde alla valigetta di Borsellino”

Ci sono cinque testimoni che hanno raccontato ai magistrati nuovi dettagli sugli spostamenti della valigetta di pelle di Paolo Borsellino dopo la strage di via d’Amelio. In quella borsa era custodita l’agenda rossa del giudice, quella dove il magistrato appuntava gli elementi più riservati delle sue indagini, scomparsa nel nulla subito dopo la sua morte. Per questo motivo la Procura generale di Caltanissetta ha chiesto di acquisire i verbali di quei cinque testimoni, tutti poliziotti, nell’ambito del processo di secondo grado sul depistaggio delle prime indagini sulla strage di via D’Amelio.

Gli imputati del processo sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti al gruppo d’indagine Falcone- Borsellino, guidato da Arnaldo La Barbera. Sono accusati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere agevolato Cosa Nostra, per avere cioè indotto i pentiti fasulli Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta a dichiarare il falso sulla strage. In primo grado la caduta dell’aggravante mafiosa ha fatto scattare la prescrizione per Bo e Mattei mentre Ribaudo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato.

I 5 testimoni – Il processo per il depistaggio va in parallelo alle indagini in corso a Caltanissetta sulla scomparsa dell’agenda rossa. Nei mesi scorsi i magistrati avevano perquisito le abitazioni della moglie e della figlia di Arnaldo La Barbera, indagate per ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia: i om sospettano che le due donno abbiano avuto per anni la disponibilità dell’agenda rossa di Borsellino, che il 19 luglio 1992 sarebbe finita in mano all’allora capo della squadra mobile di Palermo, poi deceduto nel 2022. Oggi la procura generale ha chiesto di acquisire le sommarie informazioni testimoniali di cinque poliziotti che furono sentiti tra il 2006 e il 2019, ma alcuni di loro anche nei giorni scorsi, “sul rinvenimento della borsa del giudice Borsellino nella stanza di La Barbera” dopo la strage. Si tratta dei poliziotti Andrea Grassi, Armando Infantino, Giuseppe Lo Presti, Nicolò Giuseppe Manzella e Gabriella Tomasello. “Ove non sia prestato il consenso all’acquisizione delle sit da parte delle difese, chiederemo l’esame dei 5 poliziotti”, ha detto il pg Maurizio Bonaccorso.

I verbali sulla borsa di Borsellino – “Sono uscite notizie di stampa in merito alle indagini condotte dalla procura della Repubblica sul ritrovamento dell’agenda rossa, riguardo alle perquisizioni nell’appartamento dei familiari di Arnaldo La Barbera. Indagini che hanno portato a risultati ma che sono coperte dal segreto. Dopo la pubblicazione delle notizie c’è stata una richiesta da parte delle parti civili per accedere agli atti. In questo momento da parte della procura c’è stata una risposta negativa perché le indagini sono coperte da segreto”, ha detto sempre Bonaccorso, spiegando il motivo del parere negativo. “Tutto ciò che riguarda la perquisizione di atti di indagine – ha detto il pg – è rigorosamente coperto dal segreto investigativo ma do avviso ai difensori che nella segreteria del pm sono depositati verbali di sommarie informazioni. Si tratta di sommarie informazioni di poliziotti alcuni dei quali sono stati sentiti soltanto nel 2019. Poliziotti che si sono recati presso il luogo della strage e sostanzialmente ci chiariscono dei punti su quello che accadde con la borsa del dottore Borsellino. Questi poliziotti sono riusciti a fornire spunti nuovi relativamente al passaggio della borsa di Borsellino“.

I giri della valigetta e la scomparsa dell’agenda – Uno dei testimoni avrebbe bloccato Giovanni Arcangioli, il capitano dei carabinieri inquadrato lungamente mentre se ne va in giro con la borsa di Borsellino in una via d’Amelio sventrata dall’esplosivo. I primi a intervenire sul luogo della strage, infatti, furono i poliziotti delle Volanti e dunque l’indagine era di competenza della polizia. In qualche modo l’agenda venne consegnata all’ispettore Francesco Maggi che, come era già emerso in passato, la portò nella stanza di La Barbera alla Mobile. Maggi, però, ha raccontato di aver prelevato la valigetta direttamente dall’automobile in fiamme di Borsellino: “Ho notato questa borsa nella Croma, nel sedile posteriore, messa sottosopra a terra. Allertai un vigile del fuoco di farmi getto d’acqua dentro alla macchina perché la borsa stava pigliando pure fuoco. Con la borsa mi portai dal dottore Fassari (il suo superiore dell’epoca ndr) che mi disse di andare direttamente alla mobile e consegnarla al dottore La Barbera”, ha detto l’ex poliziotto durante il processo Borsellino quater. Maggi sostiene di non aver mai aperto la borsa ma di ricordare che fosse “pesante” e dunque piena. Sulla consegna della borsa alla Mobile, però, depositerà una relazione di servizio soltanto nel dicembre del ’92, dunque cinque mesi dopo i fatti.

Anomalie e domande senza risposta – A quel punto la valigetta era già stata riconsegnata alla famiglia Borsellino dallo stesso La Barbera. È durante quell’incontro che Lucia Borsellino fa notare l’assenza dell’agenda rossa, ma il questore nega. “Mi fu risposto appunto che non c’era e al mio insistere il questore La Barbera disse a mia madre che io probabilmente avevo bisogno di un supporto psicologico perché ero molto provata. Mi fu detto addirittura che deliravo”, sono le parole della figlia di Borsellino in aula. Resta da stabilire dunque se l’agenda venne rimossa dalla borsa subito dopo la strage. O se rimase lì dentro, anche quando la valigetta venne portata nell’ufficio di La Barbera: è lì che la videro Tomaselli e Grassi, quest’ultimo oggi questore, recentemente assolto in Appello dall’accusa di aver rivelato notizie riservate ad Antonello Montante, l’ex presidente di Confindustria Sicilia considerato per molto tempo una sorta di paladino della legalità. In primo grado Grassi era stato condannato a un anno e 4 mesi.

La segnaletica di Scarantino – La notizia dei cinque testimoni non è l’unica novità emersa dall’udienza di Caltanissetta. “In data 15 novembre 2023 – ha detto il pg Bonaccorso – ho formulato un’altra richiesta alla Procura generale di Palermo, che sta trattando, come è noto, il processo per l’omicidio di Nino Agostino. In questo procedimento era stato sottoposto al padre della vittima un album fotografico per cercare di identificare dei soggetti che si erano presentati al signor Vincenzo Agostino come poliziotti. La numero 6 di queste foto ritrae Vincenzo Scarantino. Il verbale di identificazione fotografica su Scarantino è sottoscritto anche da Maurizio Zerilli che sta cominciando a diventare l’uomo dei misteri. Chiediamo di sapere perché era stato inserito anche Scarantino”. In pratica già nel 1990 la polizia aveva messo sotto osservazione Scarantino, sottoponendone la fotografia al padre del poliziotto Agostino, ucciso un anno prima insieme alla moglie. Come se Scarantino fosse un perfetto capro espiatorio, da usare per risolvere altri casi delicati e misteriosi come appunto quello dell’omicidio Agostino. È davvero così? I poliziotti di La Barbera monitoravano da tempo il balordo del quartiere Guadagna di Palermo? Ed è per questo che dopo la strage di via d’Amelio decidono di usarlo per organizzare il depistaggio?

Anche le indagini sull’insabbiamento della verità vanno avanti. Poche settimane fa la procura di Caltanissetta ha notificato un avviso di conclusione delle indagini per depistaggio a quattro poliziotti. Gli indagati sono Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco. Le indagini sono scaturite dal processo di primo grado: secondo l’accusa i quattro poliziotti hanno reso false dichiarazioni deponendo come testimoni.