Cinema

Gianni Versace – L’imperatore dei sogni, al Torino Film Festival il delicato e riuscito docufilm sul grande stilista italiano

Il lavoro di Mimmo Calopresti non è un’agiografia ricamata e apparecchiata per l’esposizione del mito, bensì un lavoro artigianale di martello e scalpello dalla classe evidente in forma di curioso, mescolato e ben orchestrato pastich

“Abbiamo bisogno di vino non di champagne”. Per capire quale Versace si vede, e vedrete, in Gianni Versace – L’imperatore dei sogni di Mimmo Calopresti, bocconcino prelibato Fuori Concorso al 41esimo Torino Film Festival, dobbiamo partire da qui. Un’affermazione che lo stilista calabrese fece in un’intervista tv negli Stati Uniti quando il suo naturale estro, la sua inesausta immaginazione era ancora in rampa di lancio. Paradossale. Chi ha rivoluzionato il mondo del fashion non amava gli eccessi verbali e materiali ma viveva nella costante determinazione del creare. Non spingeva per le cafonerie postmoderne e non si rifugiava in un classico rivisitato, ma osava di continuo oltre il presente.

“Cosa farò domani?”, spiega Versace ancora nell’intervista americana primi ottanta. Del resto Gianni Versace – L’imperatore dei sogni, docufilm produttivamente travagliato – a proposito, Minerva dopo le polemiche pre e post Festa di Roma è scomparsa dai titoli di testa e di coda – non è un’agiografia ricamata e apparecchiata per l’esposizione del mito, bensì un lavoro artigianale di martello e scalpello dalla classe evidente in forma di curioso, mescolato e ben orchestrato pastiche: la ricostruzione fiction del giovane Gianni (Leonardo Maltese, sempre più mimetico e incredibile) assieme a Donatella, Santo e mamma Franca, la sartina da cui tutto ebbe inizio; una parte comunque quantitativamente ridotta di interviste (qualche amico, i veri Santo e Donatella in materiale d’archivio, ma soprattutto una luccicante Carla Bruni che dona pure una versatile L’excessive sul finale); e filmati di passerelle (Naomi, Linda, Claudia, ci sono tutte le più belle del mondo), servizi e spot tv (ve lo ricordate Van Damme modello di Versace?), stralci di cronaca in modalità Rai Storia soprattutto nel rievocare i moti di Reggio Calabria del 1970 con Versace in fibrillazione dietro le vetrine della sua boutique e davanti ai modellini che prendono forma e volo.

“Ha inventato la donna potente e la voleva dominante”, ricorda entusiasta Carla Bruni. Una via del sexy e della libertà magmatica che da Reggio Calabria a Milano s’impone come impero della moda travolgendo e trasformando anche l’uomo da passerella, incrociando l’arte del balletto e dell’opera, rivoluzionando l’esposizione dell’abito e della sua tradizionale coreografia (di Versace le prime passerelle con follow spot e non più a luce piena). Una strada per l’affermazione e il successo a cui Calopresti impone il trotto e mai il galoppo, privandola di qualsivoglia malizia o frivolezza, a cui ridà spessore e lucentezza cromatica rivivendo gli ottanta come un decennio di inattesa liberazione dei costumi, e che infine sfiora con una grazia davvero educata la morte improvvisa, violenta, scuotendo silenziosamente lo spettatore come in quel terribile luglio del ’97 quando Versace venne ucciso a 50 anni sulla scalinata della sua villa a Miami dal serial killer Andrew Cunanan.