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Il difficile dialogo militare, la “pace globale” e i confini dell’intelligenza artificiale. Sul tavolo del vertice Biden-Xi molti nodi (e poche illusioni)

Niente illusioni, ma tutto sul tavolo. Una San Francisco blindata attende l’arrivo del presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping, che mercoledì 15 novembre incontrerà il leader statunitense Joe Biden per un summit a margine dell’annuale vertice Apec (Asia Pacific Economic Cooperation) in corso in questi giorni nella metropoli californiana. È la prima volta negli Usa in oltre sei anni per il Segretario del Partito comunista cinese e la seconda occasione di incontro con Biden da quando è alla Casa Bianca dopo il faccia a faccia al G20 di Bali dello scorso novembre.

Da allora il riavvicinamento tra le due potenze ha faticato a decollare, complice l’incidente del presunto pallone spia a inizio 2023 e le tensioni mai spente sullo Stretto di Taiwan che la Cina considera una provincia ribelle parte del proprio territorio e la cui autodifesa è sostenuta dagli Usa. Negli ultimi mesi però, entrambe le parti hanno segnalato con sempre maggiore insistenza di essere disponibili alla ripresa del dialogo e diversi incontri diplomatici di alto livello hanno preparato il terreno per l’incontro tra i due leader, dal viaggio a Washington del ministro degli Esteri cinese Wang Yi alla visita del Segretario di Stato Usa Antony Blinken approdato in Cina lo scorso giugno.

Per l’occasione la città di San Francisco è stata tirata a lucido, tanto che diversi commentatori sul web cinese non hanno mancato di notare l’improvvisa assenza degli oltre 7mila senza fissa dimora che abitualmente popolano le strade della metropoli. Sui social in Cina si tacciano gli Stati Uniti di “ipocrisia” mentre le aspettative sull’incontro rimangono basse. Oltre alle strade deserte, a risaltare sono le alte transenne d’acciaio comparse per delimitare la Bay Area dove si terrà il meeting, fuori dalle quali sono già presenti diversi contestatori e attivisti per i diritti umani in protesta contro la visita di Xi.

Gli argomenti sul tavolo sono molti. Dalla guerra tra Israele e Hamas, in cui l’influenza cinese in Medio oriente potrebbe secondo Washington giocare un ruolo cruciale, all’invasione della Russia in Ucraina, passando delicatamente su Taiwan per poi confrontarsi su tematiche legate ai diritti umani e sulle relazioni commerciali. “Le differenze tra Cina e Usa non sono a somma zero né sono esistenziali. Vedremo questa settimana se ci sarà un qualche accorciamento delle distanze tra i due Paesi” racconta a ilfattoquotidiano.it Susan Thornton, ex diplomatica Usa con quasi trent’anni di carriera all’interno del Dipartimento di Stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico.

Il ministero degli Esteri di Pechino ha riferito che i presidenti parleranno di “pace globale e di sviluppo” e dalla Casa Bianca l’obiettivo dell’incontro è stato indicato nel definire la “direzione strategica della relazione bilaterale” con Pechino. “Gli Stati Uniti hanno ridefinito le relazioni tra Usa-Cina nell’ambito di una ‘competizione ad alta intensità‘ o in termini per lo più antagonistici. Una definizione che la Cina rifiuta”, chiarisce a proposito Thornton. “Il punto di vista di Pechino è invece che le grandi potenze hanno naturalmente differenze e disaccordi, ma in quanto grandi potenze devono lavorare insieme, gestire gli attriti e coesistere pacificamente”, continua.

Soprattutto, Washington ha fatto sapere che parte del bilaterale sarà dedicata a discutere “l’importanza di riprendere il dialogo militare“. Su questo fronte i rapporti tra Cina e Usa sono congelati dallo scorso agosto, come ritorsione da parte di Pechino dopo la visita dell’allora speaker della Camera Nancy Pelosi a Taiwan. Nelle ultime settimane un timido riavvicinamento si è tuttavia fatto spazio, con la partecipazione di una delegazione del Pentagono al Forum sulla sicurezza di Xiangshan e la rimozione dalla carica di ministro della Difesa per Li Shangfu, generale sotto sanzioni Usa dal 2018, come elemento a favore della ripresa del dialogo.

Più che un incontro risolutivo, quello di mercoledì si configura come un punto di ripartenza che possa permettere a entrambi i leader di fornire rassicurazioni sul fronte interno: la mancanza di comunicazione tra le due potenze spaventa più del disaccordo. Anche per questo i media cinesi parlano di un “summit” invece che di un semplice bilaterale, mentre l’amministrazione Biden si augura di poter “lavorare insieme con la Cina su questioni di interesse comune“.

Due sono invece le tematiche attese che potrebbero portare risultati concreti: intelligenza artificiale e fentanyl. Come anticipato dal South China Morning Post, Xi e Biden firmeranno un accordo sul divieto di impiego di tecnologie di intelligenza artificiale nelle armi autonome come droni e testate nucleari. La competizione sul fronte tech tra i due colossi, cominciata con la guerra dei dazi promossa da Donald Trump e proseguita con il blocco alla filiera dei semiconduttori (materiali utili per la creazione dei chip che stanno alla base di tutti i prodotti di elettronica), ha sempre avuto come obiettivo finale quello della deterrenza tecnologica nel militare, essendo le tecnologie coinvolte nella guerra a colpi di ban tutte dual use, ovvero impiegabili tanto i prodotti di uso comune come i cellulari quanto nelle armi. Entrambi i Paesi si sono dimostrati interessati allo sviluppo di una cornice normativa per controllare i pericoli derivanti da queste tecnologie. Il mese scorso la Cina ha formulato un piano di governance globale per l’intelligenza artificiale, mentre da parte statunitense lo scorso febbraio Washington ha emesso una Dichiarazione politica sull’utilizzo responsabile dell’intelligenza artificiale.

Il secondo accordo atteso riguarda il fentanyl, la droga diventata una vera e propria piaga sociale negli Usa con milioni di persone dipendenti dalla sostanza. Washington accusa la Cina di non ostacolare le aziende che contribuiscono a produrre alcune componenti utili a sintetizzare l’oppiaceo. Pechino avrebbe acconsentito a implementare un giro di vite sui laboratori incriminati, così da favorire ulteriormente il dialogo con il colosso atlantico e migliorare la sua reputazione sul piano globale.

Passi in avanti dunque, ma con il timore dell’incidente diplomatico sempre dietro l’angolo. Pechino e Washington proveranno a trasformare la “stabile precarietà” del loro rapporto mantenuta finora in qualcosa di più solido, consapevoli del fatto che hanno un idea diversa di cosa significa “stabilizzare i rapporti” e con il rischio che questo incontro rimanga una conversazione tra sordi, sovrastata soltanto dalle grida dei contestatori del presidente cinese.