Salute

Rapporto Gimbe, la sanità pubblica sprofonda. Al posto di un servizio nazionale, 21 sistemi regionali basati sul mercato

Sempre meno e sempre peggio. Sono drammatici i dati della Fondazione Gimbe sulla situazione del Servizio sanitario nazionale. Dal rapporto presentato oggi a Roma emerge come il paese stia “inesorabilmente scivolando da un Servizio Nazionale fondato sulla tutela di un diritto costituzionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato“. Rispetto ai livelli essenziali di assistenza sanitaria, nel 2020 l’unica Regione del sud tra le 11 adempienti è la Puglia. Nel 2021 delle 14 adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata. Sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni meridionali sono ultime tra quelle adempienti. Il rapporto evidenzia una “frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata”. Anche i dati sulla mobilità sanitaria documentano che i flussi economici scorrono prevalentemente da Sud a Nord: in particolare nel 2020, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto cubano complessivamente il 94% del saldo di mobilità attiva.

Lo studio evidenzia poi come siano 298.597 gli infermieri che lavorano nelle strutture sanitarie. La media nazionale, secondo i dati del ministero della Salute, è di 5 infermieri per 1.000 abitanti, con un range che varia dai 3,6 della Campania ai 6,7 del Friuli Venezia Giulia, con un gap dell’87%. E l’Italia si colloca ben al di sotto della media di altri Paesi europei, con 6 infermieri (in questo caso contando anche quelli che non lavorano per il Ssn) per mille abitanti, a fonte di 9,9 della media Ocse. Ecco perché la Fondazione Gimbe invoca un patto sociale e politico che, “prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, rilanci quel modello di sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro della nostra democrazia, conquista sociale irrinunciabile e grande leva per lo sviluppo economico del Paese”. In generale il gap della spesa sanitaria pro capite con la media dei Paesi europei dell’area Ocse è di 829 euro, e per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di quasi 48,8 miliardi di euro. Questo dato è in linea con l’entità del definanziamento pubblico per la sanità.

“Le rilevazioni operate da Gimbe mettono nero su bianco il divario esistente tra Nord e Sud del Paese in termini di assistenza sanitaria e i rischi derivanti dall’Autonomia differenziata”, commenta il capogruppo Pd in commissione Politiche Ue della Camera Piero De Luca. “La nostra proposta prevede che nel sostegno alla sanità pubblica non si scenda mai sotto il 7% di investimento sanitario minimo in rapporto al Pil. Serve coraggio”, ricorda Mariolina Castellone del Movimento 5 Stelle, vicepresidente del Senato. “Occorre salvaguardare la sanità pubblica attraverso investimenti significativi per riallineare la spesa sanitaria nazionale alla media di quella dei Paesi dell’Unione europea. Ci aspettiamo, dunque, che già dalla prossima legge di Bilancio ci siano scelte che vadano in questa direzione”, rimarca Domenico Proietti, segretario generale della Uil Fpl nazionale.

La settimana scorsa la stessa Fondazione aveva sottolineato in un’analisi come la sanità pubblica italiana “vada verso il baratro” a causa del crollo del rapporto tra spesa sanitaria e pil, che quest’anno si ridurrà dal 6,7% al 6,6%, scenderà al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. E se nel 2023 la spesa sanitaria è aumentata, rispetto al 2022, del 2,8% in termini assoluti di 3.631 milioni di euro, nel 2024 è scesa a 132.946 milioni di euro (-1,3%), per poi risalire nel 2025 a 136.701 milioni (+2,8%) e a 138.972 milioni (+1,7%) nel 2026. “È del tutto evidente – ha commentato il presidente Nino Cartabellotta – che l’irrisorio aumento della spesa sanitaria di 4.238 milioni di euro (+1,1%) nel triennio 2024-2026 non basterà a coprire nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo”. In altri termini, le stime previsionali della Nadef 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 non lasciano affatto intravedere investimenti da destinare al personale sanitario, ma certificano piuttosto evidenti segnali di definanziamento. In particolare il 2024, lungi dall’essere l’anno del rilancio, segna un preoccupante -1,3%.