F1 & MotoGp

In F1 comandano le donne, ma ancora non guidano: cosa manca per diventare uno sport gender neutral

Il recente test svolto da Jessica Hawkins all’Hungaroring su Aston Martin ha riacceso i riflettori sulle pilote in un team di Formula 1. L’inglese classe 1995 è infatti stata la prima donna a guidare una monoposto di F1 dal 2018 – quando la colombiana Tatiana Calderon scese in pista in Messico alla guida della Sauber in una sessione di test – e la terza negli ultimi vent’anni. Per trovare una pilota che ha preso parte alle qualifiche bisogna però tornare indietro di oltre tre decenni, con Giovanna Amati che tentò per tre volte, senza successo, di piazzare la sua Brabham in griglia di partenza. Ancora più lontana nel tempo è l’ultima pilota ad aver disputato un Gran Premio: Lella Lombardi, che tra il 1974 e il 1976 ne ha corsi 17, riuscendo una volta anche a finire a punti. Era in pista anche nel luglio 1976 a Brands Hatch, quando si disputò l’unico gran premio nella storia al quale presero parte due donne (l’altra era l’inglese Divina Mary Galica).

Tempi lontanissimi, anche se leggendo molti commenti sui social media britannici relativi alla Hawkins non sembrerebbe proprio. Ma che quest’anno qualcosa stia tornando a muoversi lo ha dimostrato anche Sophia Flörsch, pilota tedesca dell’Alpine Academy diventata la prima donna ad andare a punti in Formula 3, ottenendone 6 lo scorso 30 luglio a Spa-Francorchamps con una scuderia, la PHM, che fino a quel momento in stagione ne aveva complessivamente raccolto solo uno. Nota in Germania per le sue prese di posizione contro i media tedeschi, accusati di considerare solo i figli d’arte (nello specifico Mick e David Schumacher, figli rispettivamente di Michael e Ralf) ignorando tutti gli altri piloti, in passato Flörsch aveva criticato la FIA per la creazione della W Series, la categoria tutta al femminile istituita nel 2019 e chiusa nel 2022 a causa dei debiti accumulati da una pessima gestione. Secondo la pilota tedesca la Federazione creava steccati di genere in uno sport gender neutral. Anche se, guardando la storia del motorsport, questa neutralità non si è mai manifestata.

Proprio partendo da quest’ultimo assunto, la FIA ha proseguito con il proprio progetto riguardante la categoria femminile, creando nel 2023 la F1 Academy, competizione nata facendo tesoro degli errori del passato. Non più quindi vetture gestite dagli organizzatori, ma quindici monoposto TatuusAutotecnica di Formula 4 portate in pista da cinque team presenti in F2 e F3 (ART, Campos, MP Motorsport, Prema, Rodin Carlin). Un’iniziativa però incredibilmente affossata dalla mancanza di visibilità, dal momento che in molti paesi le gare di F1 Academy, contrariamente a quanto accadeva con la W Series, non venivano trasmesse da alcuna emittente televisiva, né in streaming, con tanti saluti all’attrattività del prodotto per gli sponsor. In Italia, ad esempio, è andata in onda una sintesi su Sky Sport della durata di circa venti minuti, la metà dei quali dedicati a interviste di presentazione delle pilote. E se è vero che nella line-up non è presente alcuna italiana, tra le scuderie in corsa figura la Prema, un’eccellenza motoristica del nostro paese, tanto che la leader del Mondiale della F1 Academy, la spagnola Marta Garcia, guida una monoposto del team di Grisignano di Zocco, provincia di Vicenza. Considerata l’attenzione maniacale sugli aspetti commerciali e di promozione dell’immagine che sta caratterizzando la gestione della F1 dall’avvento di Liberty Media, con la F1 Academy è stato fatto un clamoroso autogol, anche se per l’ultima gara del campionato, prevista a Austin nel weekend del 21-22 ottobre, è stata messa una toppa organizzando la trasmissione in diretta dell’evento in oltre 100 paesi.

Va però dato atto alla FIA di imparare dai propri errori e dalle proprie goffaggini. Se a livello gestionale la F1 Academy ha rappresentato un passo avanti rispetto alle W Series, la prossima stagione, accanto ai team sopra citati, saranno presenti tutte le dieci scuderie di F1 con una loro pilota e la propria livrea. Un’iniziativa finalizzata ad alzare l’asticella in termini di visibilità e attrattività della competizione. Il fine ultimo però rimane quello di rendere più agevole alle pilote il passaggio nelle categorie superiori, come dichiarato da Susie Wolff, direttrice della F1 Academy nonché ex pilota (tra il 2015 e il 2015 è stata development driver della Williams). Un passaggio, secondo Wolff, non semplice anche prescindendo dagli steccati di genere. “Credo ci vorranno circa 10 anni prima di vedere una pilota in una monoposto di F1, e non perché manchi il talento, ma proprio a causa di un processo selettivo estremamente tosto per tutti, uomini inclusi. Basta vedere da un anno all’altro quanto poco cambino i line-up dei team”.

La Formula Uno rimane però uno degli sport più avanzati riguardo al tema delle pari opportunità e per accorgersene basta lasciare la pista per entrare nelle cabine di comando dei team, dove non è raro imbattersi in posizioni apicali ricoperte da donne. Nel 2022 cinque scuderie su dieci avevano una donna a capo dello strategy team, un ambito che nella F1 contemporanea riveste un ruolo sempre più importante. Red Bull, Mercedes, Alfa Romeo e Alpha Tauri sono le scuderie la cui gestione strategica è attualmente diretta da una donna, mentre l’Aston Martin ha cambiato nell’estate 2022, quando l’ingegnera Bernardette Collins ha scelto di cambiare ambito, unendosi a Sky Sports F1 in qualità di analista strategica. Come ha scritto Mario Donnini su Autosprint: “Posti stabili, maternità sacrosante, retribuite e tutelate – come nel caso di Hannah Schmitz della Red Bull e Rosie Wait della Mercedes, entrambe fresche reduci -, livelli salariali meritoriamente e meritocraticamente financo superiori a quelli dei colleghi maschi, equilibrio tra famiglia e lavoro, tra ruolo di mamma e quello di pit-wall boss”. Valore e merito. Una lezione per tanti altri sport.

Nella foto Jessica Hawkins