Diritti

L’ammonimento del questore per le violenze sessuali mette a rischio le denunce: va abolito

No alla depenalizzazione dello stupro! Questo è il rischio che si corre con l’introduzione della procedura amministrativa in caso di denuncia per stupro, così come è stato previsto nel disegno di legge 1294 che sarà votato alla Camera il 5 ottobre prossimo. Si tratta di una proposta di legge che estenderebbe l’ammonimento del questore (ai sensi dell’ art 8 ovvero su richiesta della parte offesa) – fino ad oggi previsto solo per il reato di stalking – al reato di violenza sessuale e al cosiddetto revenge porn. D.i.Re manifesta grande preoccupazione e chiede con forza che l’ammonimento per il reato di violenza sessuale (art 609 bis) e per la diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite (612 ter) sia eliminato dal testo di legge.

L’ammonimento per lo stupro è irricevibile perché produrrebbe l’effetto di una sorta di depenalizzazione della violenza sessuale in palese violazione della Convenzione di Istanbul che invece chiede la criminalizzazione di questo reato. L’estate scorsa è stata funestata da notizie di femminicidi. Dall’uccisione di donne che si erano separate da uomini maltrattanti, l’ultima avvenuta il 22 settembre, a violenze sessuali di gruppo commesse nei confronti di ragazze e pre adolescenti. Fatti che hanno scosso l’opinione pubblica ed hanno anche svelato la persistenza di pregiudizi che vittimizzano le donne perché socialmente non è stata acquisita la percezione del disvalore di un crimine gravissimo. Una sottocultura che nonostante l’impegno di associazioni e movimenti si tramanda di generazione in generazione.

D’altra parte, i luoghi che dovrebbero sanzionare e punire i crimini contro le donne si mantengono permeabili ai pregiudizi. La Corte Europea dei diritti umani – Cedu ha mantenuto il nostro Paese sotto procedura di vigilanza rafforzata per “una percentuale costantemente elevata di procedimenti relativi alla violenza domestica e sessuale interrotti nella fase istruttoria (archiviazioni), un uso limitato di ordinanze cautelari e un tasso significativo di violazione della stessa”. Tutto questo avviene in un contesto di scarsa fiducia delle donne nel sistema giudiziario perché solo l’8% delle donne denuncia stupri. Il sommerso è elevato a fronte delle rilevazioni Istat sulla violenza sessuale: il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner; il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro.

Il femminicidio in ogni sua forma è un fenomeno complesso che deve essere affrontato con attenzione la risposta delle Istituzioni deve fondarsi sulla prevenzione e il cambiamento culturale, sul sostegno e la protezione delle vittime ma anche sulla punizione. Come del resto stabilisce la Convenzione di Istanbul.

Le avvocate D.i.Re hanno partecipato all’audizione sul ddl 1294 davanti alla Commissione Giustizia e ne hanno rilevato punti di forza ma gravi criticità. Si sono espresse positivamente sul potenziamento delle misure di prevenzione, il braccialetto elettronico e anche sull’accoglimento delle richieste avanzate da tempo dai Centri antiviolenza sui percorsi di recupero degli autori di violenza: i cam-cuav dovranno fare valutazioni positive andando oltre la mera attestazione di una partecipazione al percorso.

Al contrario, sempre nel documento depositato per l’audizione, ritengono che “l’ammonimento sia uno strumento potenzialmente pericoloso per le donne. Anzitutto perché non c’è una sistematica attenta valutazione del rischio e non si assicura che la donna sia in protezione. In secondo luogo, perché le espone potenzialmente a ricatti o false aspettative. Infine, perché la donna è esclusa da qualsiasi comunicazione e partecipazione nella fase dell’adozione, non ha accesso ad eventuali memorie, non può interloquire, non ha strumenti per opporsi all’eventuale archiviazione. In caso di ricorso al giudice amministrativo avverso il provvedimento da parte dell’ammonito, la donna non viene nemmeno avvisata e non è prevista la partecipazione necessaria al giudizio”.

Nel ddl è anche previsto l’ammonimento per violenza domestica, ai sensi dell’art. 3. Anche su questo le avvocate DiRe hanno manifestato preoccupazione per la possibile sovrapposizione con il reato di maltrattamenti. La stessa definizione di violenza domestica “si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici” rende difficile distinguere le due ipotesi e il timore è una depenalizzazione del reato. Ed è una valutazione lasciata al questore anziché all’autorità giudiziaria.

“Più grave e preoccupante – si legge nel documento – è la previsione dell’ammonimento in base all’art. 8 per il reato di cui all’art. 609 bis c.p., violenza sessuale e 612 ter c.p. diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite. Tale previsione deve essere eliminata perché gravemente retrocessiva nel contrasto alla violenza sessuale, uno dei reati più gravi del nostro codice e il fatto che sia procedibile a querela nelle ipotesi non aggravate è un sofferto compromesso tra la necessità di perseguire condotte gravissime e il diritto della vittima a non esporre a terzi dettagli che riguardano la propria vita intima e di non esporsi all’alto rischio di vittimizzazione secondaria insito nell’accertamento di questo tipo di reati”.

Utilizzare la formula dell’ammonimento, che comporta comunque un’istruttoria e quindi l’esposizione dei dettagli intimi e i rischi di vittimizzazione secondaria, equivale per le avvocate D.i.Re, ad una pericolosissima e gravissima depenalizzazione della violenza sessuale con conseguenze nefaste sia dal punto di vista della politica criminale sia per l’aspetto culturale connesso al contrasto a questa forma di violenza.

A mettere la ciliegina sulla torta è la modifica che dovrebbe rafforzare il Codice Rosso che è stata già criticata da D.i.Re nei mesi scorsi, e sulla quale De Lucia, il procuratore capo della Repubblica di Palermo, ha giustamente lanciato l’allarme: “Crea criticità alle Procure e non aiuta le donne. La norma prevede che il magistrato, tassativamente entro tre giorni, ascolti la persona offesa. Ma se questo non succede perché magari la polizia giudiziaria non trasmette le dichiarazioni in tempi utili, tutta la procedura diventa estremamente farraginosa”.

Tra interventi securitari e banalizzazione dei crimini contro le donne si perpetua una politica inadeguata e priva di qualunque strategia. Si procede ancora in modo contraddittorio e confuso con le inevitabili ricadute negative sulle donne che subiscono violenza.

@nadiesdaa