Cultura

“Lascia perdere. L’importanza di capire quando è meglio abbandonare le proprie posizioni”, i consigli dell’ex campionessa di poker Annie Duke – L’ESTRATTO IN ANTEPRIMA

L’ex giocatrice professionista di poker Annie Duke ci insegna come diventare bravi a mollare, accompagnandoci in un viaggio tra teorie di psicologia cognitiva e le storie di chi ha cambiato la propria vita – in meglio – rinunciando al mito della perseveranza ad ogni costo

“Perseverare è la virtù dei forti”, dicevano gli antichi latini. Questo concetto si è inculcato così tanto nell’animo umano da esser tramandato fino a noi, uomini del XXI millennio. Ma non sempre insistere, essere tenaci e voler andare fino in fondo è la cosa più giusta da fare per avere successo.Ma se la perseveranza è considerata appunto come una virtù, l’atteggiamento di chi abbandona è visto come vizioso. Il consiglio elargito da tutti coloro che sono assurti a leggenda per il successo raggiunto si riduce spesso a un messaggio di questo tipo: “Applicati, persevera e avrai risultati”. Eppure qui si nasconde l’aspetto sorprendente della tenacia: se da un lato può spingervi a perseverare nelle cose difficili per cui vale la pena di insistere, dall’altro può indurvi a perseverare anche quando non è più il caso. Il trucco sta nel comprendere la differenza in ogni situazione.

Come fare, quindi? Ce lo insegna Annie Duke, ex giocatrice professionista di poker, specializzata in psicologia cognitiva all’Università della Pennsylvania e oggi consulente in materia di decision making. Duke sa di cosa parla. E ha deciso di mettere il suo sapere a disposizione di tutti in un libro, “Lascia perdere – L’importanza di capire quando è meglio abbandonare le proprie posizioni” (Egea, 2023), diventato un vero caso editoriale negli Stati Uniti. In queste pagine, Duke ci spiega perché troppo spesso – di fronte a decisioni difficili – siamo dei terribili rinunciatari. E ci insegna invece come diventare bravi a mollare, condividendo teorie scientifiche e storie di personaggi del mondo dello sport, dell’arte e dell’imprenditoria che hanno cambiato la propria vita (in meglio) rinunciando alla perseveranza ad ogni costo.

L’ESTRATTO IN ESCLUSIVA

Di Annie Duke

Nel febbraio del 2019 Lindsey Vonn, una delle atlete più famose al mondo, ha annunciato su Instagram il suo ritiro dalle competizioni di sci: «Il mio corpo è irreparabilmente compromesso e non mi consente di vivere l’ultima stagione come la sognavo. Mi sta urlando di FERMARMI ed è ora che io lo ascolti». Dopo aver elencato nel dettaglio la serie più recente di infortuni, interventi chirurgici e periodi di riabilitazione (molti dei quali non divulgati fino ad allora), ha concluso con queste parole: «Dico sempre: “Non mollare mai!”. Quindi, a tutti i ragazzi, ai fan che mi hanno inviato messaggi per incoraggiarmi ad andare avanti… voglio dire che non mi arrendo! Sto solo iniziando un capitolo nuovo». Nella prima parte della sua dichiarazione, la Vonn spiega con estrema chiarezza, in maiuscolo, che intende smettere con lo sci agonistico (traduzione: si ritira). Poi, nella seconda parte, è come se smentisse platealmente proprio il ritiro che ha appena annunciato, ammantandolo nell’eufemismo «iniziare un nuovo capitolo».

Se c’è qualcuno che si è guadagnato il diritto di ritirarsi con orgoglio senza mettere in discussione il proprio coraggio o la propria perseveranza, quel qualcuno è Lindsey Vonn. Le storie dei suoi recuperi da gravi incidenti sono impressionanti quasi quanto il suo palmares. Alle Olimpiadi del 2006, dopo essere stata elitrasportata in ospedale a seguito di un terribile incidente, ha cercato di sgattaiolare fuori dalla struttura prima del via libera dei medici per gareggiare due giorni dopo. Nel 2013, dopo aver subito una rottura del legamento crociato anteriore e mediale, nonché un’altra frattura, aver sostenuto un intervento chirurgico e un’estenuante riabilitazione, si è infortunata di nuovo a entrambi i legamenti ricostruiti e ha affrontato lo stesso processo una seconda volta. Dopo aver saltato le Olimpiadi di Sochi ed essere rimasta ferma per gran parte del 2014, è tornata per vincere altre ventitré gare di Coppa del mondo tra la fine del 2014 e l’inizio del 2018.

Se Lindsey Vonn trova così difficile annunciare semplicemente che ha intenzione di lasciare, pensate come dev’esserlo per noi comuni mortali. L’idea di smettere è una pillola così amara che per ingoiarla serve un cucchiaio di zucchero. O, in questo caso, una cucchiaiata di eufemismo, il più famoso dei quali, in inglese, è pivot (ovvero un «punto di svolta»). Dando una spulciata a uno dei maggiori siti web per la vendita di libri, vi accorgerete di quanto siano tremendamente popolari i titoli che presentano un qualche pivot. Molti sono semplicemente intitolati Pivot (c’è anche un Pivot!). Ma abbiamo anche The Big Pivot, The Great Pivot, Pivot with Purpose, Pivot to Win e Pivot for Success, per citarne solo alcuni. Il mio intento non è certo quello di criticare questi libri. Ma che diciate «pivot» o «un nuovo capitolo» o «ripensamento strategico», tutte queste cose implicano, per definizione, la decisione di lasciare, di mollare il colpo. Dopo tutto, spogliata della sua connotazione negativa, quella di lasciar perdere è semplicemente la scelta di interrompere qualcosa che avevate iniziato.

Dovremmo smetterla di pensare che l’idea di desistere vada avvolta nel pluriball per ammorbidirne i contorni. In fin dei conti, in molte circostanze è la scelta giusta, in particolare quando è il mondo a dirvelo, quando i reni non vi funzionano più bene o avete subito l’ennesimo grave infortunio in carriera. O quando vi ritrovate con un matrimonio infelice, con un lavoro senza prospettive o in un corso di studi che detestate.

Perché a questa parola-che-non-deve-essere-nominata è stato riservato lo stesso trattamento di Voldemort?

Al tempo in cui la carne si comprava presso la macelleria locale, ogni comico aveva in repertorio un siparietto sulle fregature che si rimediavano con la bilancia del macellaio. Una delle battute del comico della Borscht Belt, Milton Berle, recitava così: «Comincio a dubitare della correttezza del mio macellaio. L’altro giorno, una mosca si è posata sulla sua bilancia. Pesava quattro libbre e mezzo». Quello a cui si riferiva Berle era il meme abbastanza comune nella Borscht Belt del macellaio che «truccava» la bilancia, di solito infilandoci sopra il pollice di nascosto, per gabbare i clienti. La ruota della fortuna di un lunapark potrebbe essere dotata di un meccanismo che la fa fermare a un determinato punto del suo giro, risparmiando qualsiasi esborso al titolare. In maniera analoga, potrebbero essere truccate anche le losche roulette di qualche bisca clandestina. Potrebbero esserlo persino i dadi per giocare a craps.

Quando in ballo c’è la decisione di mollare, la bilancia è truccata allo stesso modo. Quello che ci dicono gli esempi di Muhammad Ali e Lindsey Vonn, gli aforismi, gli eufemismi e la lingua nel suo complesso è che un pollice cognitivo e comportamentale fa inclinare la bilancia verso la perseveranza tutte le volte in cui si tratta di soppesare la tenacia da una parte e la rinuncia dall’altra.