Cultura

“Basta odio. Né con Vannacci, né con i generali del politicamente corretto”, il nuovo libro di Gianluca Barbera è una risposta alle derive contemporanee – L’ESTRATTO IN ANTEPRIMA

Barbera, a differenza di Vannacci, è un polemista colto. Confuta gli assiomi del generale punto per punto, dimostrandone l’inconsistenza alla luce della ragione e di una sana cultura critica

Il politicamente corretto, spinto ai suoi estremi, è il sonno della ragione: e se non genera proprio mostri, fa comunque molti e gravi danni. Ma le tesi del generale Vannacci grondano odio puro, e sono inaccettabili da qualunque lato le si vogliano girare. Nasce da questa considerazione il pamphlet che Gianluca Barbera, scrittore, editore, giornalista, manda in libreria in questi giorni, dal titolo Basta odio. Né con Vannacci, né con i generali del politicamente corretto (Compagnia editoriale Aliberti). Certamente una risposta “a caldo” agli argomenti de Il mondo al contrario, ma calata all’interno di un quadro culturale, antropologico e politico di ampio respiro, che va da Aristotele a Kant a Emil Cioran.

Barbera, a differenza di Vannacci, è un polemista colto. Confuta gli assiomi del generale punto per punto, dimostrandone l’inconsistenza alla luce della ragione e di una sana cultura critica. Ma il suo è essenzialmente un invito a riappropriarci del rispetto nella dialettica, che può e deve essere anche aspra sulle idee, ma deve spogliarsi di quel “bullismo fra adulti” diventato ormai l’atteggiamento prevalente tra gli schieramenti opposti. Quella del rispetto reciproco è oggi una “rivoluzione gentile” di cui, secondo Barbera, si sente un disperato bisogno. Non per indifferenza, o addirittura ipocrisia: ma per affermare con forza il valore del dialogo e della comunicazione fra diversi, che è l’antidoto migliore alla disumanità montante nella società occidentale.

LA NORMALITÀ SECONDO IL GENERALE VANNACCI

Ed ecco il tema più spinoso, è Vannacci stesso a riconoscerlo. Posto che l’omosessualità “è definita nei moderni testi come una variante non patologica dell’orientamento sessuale”, quello che “accende le polemiche non sono le disquisizioni circa i gusti personali anche ai giorni nostri nei confronti dei gay, non sono le disquisizioni circa i gusti personali e le preferenze all’interno di una camera da letto ma i comportamenti ostentativi ed esibizionisti e, soprattutto, l’elevazione di una questione relativa al gusto sessuale a una pretesa di diritti familiari e sociali”. Ovviamente si sta riferendo ai matrimoni gay, alle adozioni da parte di coppie gay e alla questione dell’utero in affitto. Secondo il generale i gay rappresenterebbero nel nostro Paese appena il 2% (il 3,2% in Gran Bretagna, dove dispongono di dati più aggiornati e attendibili). Il fenomeno risulterebbe pertanto “circoscritto, limitato e contenuto soprattutto se raffrontato al clamore e alla sensibilità che suscita”. “Allora mi chiedo il perché ci sia una palese sovra-esposizione della comunità lgtbq+ nei mezzi d’informazione nazionali e internazionali e una ipersensibilità nell’affrontare l’argomento”. E poi giù l’affondo: “Omofobia, lesbofobia, bifobia, transfobia: con questi epiteti si indicano, come se fossero affetti da una terribile patologia, tutti quelli che provano antipatia e avversione o che dimostrano di non condividere le tematiche tanto care agli arcobaleno. Il termine ‘fobia’ snatura l’interlocutore facendogli perdere la dignità di essere pensante e dotato di ragione relegandolo contestualmente nell’alveo dei malati di mente”. Eh no, “cari omosessuali, siete voi a non essere normali, fatevene una ragione!” (…)

Parole incendiarie.

Il generale è un conservatore oltranzista, con un che di astioso in più, forse dovuto all’esasperazione che traspare nell’arco di tutto il libro. Vannacci è un uomo esasperato, ferito: ma da cosa? Dal fatto che le cose, negli ultimi decenni, e forse anche sul piano personale, non hanno preso la piega che lui avrebbe voluto. Un uomo le cui lancette si sono fermate a mezzo secolo fa e forse più, lo sguardo completamente rivolto al passato. Vorrebbe che il mondo tornasse a essere così com’era, o perlomeno non si muovesse più o giù di lì: siccome a lui piaceva com’era prima, il nastro dovrebbe riavvolgersi. Siccome lui è stato fortunato, nulla deve cambiare. Nel libro di Vannacci si respira un’aria da resa dei conti, colpiscono i toni e le parole sprezzanti che usa nei confronti di chi non la pensa come lui o non è come lui; e anche le intenzioni non mi paiono cristalline, per usare un eufemismo: sanno di pulsioni nascoste. Pur riconoscendogli il diritto a scrivere ciò che vuole, non posso tacere il fatto che il suo libro gronda odio (è lui stesso a rivendicarlo: “L’odio è un sentimento, un’emozione che non può essere repressa in un’aula di tribunale. Rivendico a gran voce anche il diritto all’odio e al disprezzo”), e questa semplice constatazione, la semplice presenza di tutta quella massa di livore e di sarcasmo (che hanno notato anche alcuni dei suoi estimatori), mi impedisce di giudicarlo nel merito come avrei voluto, anche perché a dire il vero molti dei passaggi che ho citato, e che riassumono le intenzioni dell’autore, si commentano da soli: come avrete notato, al netto di qualche soffusa ironia mi sono limitato a riportare il contenuto del libro in tono quanto più neutro possibile, in modo da lasciare i lettori liberi di giudicare.

IL POLITICALLY CORRECT, OVVERO LA NUOVA CENSURA

Nel nome del politicamente corretto si sono messi all’indice film, riscritti libri, vietate mostre, soppressi autori, censurati artisti, licenziate persone, si sono introdotti asterischi e schwa per evitare di declinare le parole in femminile e maschile, si sono inventati Genitore 1 e Genitore 2 al posto di Padre e Madre. Serve davvero tutto questo?

Scriveva nel 2006 Emilia Riccardi su europaoggi.it, in un istruttivo articolo intitolato Il politicamente corretto La nuova censura progressista, che qui condenso: “Una persona bassa è in realtà ‘verticalmente svantaggiata’? Il capitano Achab (protagonista di Moby Dick) è il ‘portatore di un atteggiamento scorretto verso le balene’? Se, per non essere razzisti, bisogna chiamare i neri d’America ‘afroamericani’ (rievocando l’origine dei loro avi), i bianchi finiranno col chiamarsi… ‘euroamericani’? Nella Bibbia, ‘insopportabilmente sessista’, bisogna togliere tutti i pronomi, gli aggettivi, i riferimenti a Dio di genere maschile, e sostituirli con alternative di genere ‘neutro’? La ‘correttezza politica’ (political correctness) è una bislacca corrente di pensiero che vorrebbe dettare regole nel modo di esprimersi, di vestirsi, nei comportamenti, al fine di evitare che chiunque possa sentirsi offeso. Un nuovo bigottismo, insomma, questa volta di matrice progressista (che si contrappone a quello reazionario, il quale però – almeno in Europa – pare francamente in disarmo). Usare la manipolazione del linguaggio per imbrigliare o indirizzare il pensiero – con conseguenze, sovente, ridicole e grottesche – non è una novità. Ci provano i regimi nazionalistici, per espellere i termini stranieri. […] Ci provano – a manipolare il linguaggio – i regimi totalitari, per espellere termini che abbiano potenziale eversivo, come nella ‘neolingua’ immaginata da Orwell nel romanzo 1984: le idee non possono essere espresse senza parole. Ci provano – ad esercitare la manipolazione – anche i nuovi sacerdoti del linguaggio “politicamente corretto” (politically correct), quando elaborano un’antilingua, tecnica, eufemistica, fatta di sigle incomprensibili (IVG al posto di aborto). Impongono, in sostanza, un’anestesia del linguaggio, per rendere l’opinione pubblica meno sensibile a scelte politiche delicate.