Mafie

A 38 anni dall’omicidio Cassarà, ricordo un episodio molto rischioso che vissi con lui

38 anni fa, dopo che Cosa nostra aveva assassinato a Porticello (28 luglio ’85) il commissario di polizia Beppe Montana, il 6 agosto, in via Croce Rossa a Palermo, il vice dirigente della Squadra mobile, Ninni Cassarà, viene assassinato da un commando di Cosa nostra. Nell’attentato perde la vita un giovanissimo agente di polizia, Roberto Antiochia. Rimane illeso l’altro agente, Natale Mondo, che fu ingiustamente accusato d’essere la talpa al soldo della mafia. Accusa infamante e infondata: Natale fu persino arrestato e poi scagionato; risultò essere innocente. Ma Cosa nostra lo uccise nel gennaio del 1988. Tra il periodo degli omicidi di Montana e Cassarà, muore alla Squadra mobile uno dei fiancheggiatori dei killer di Montana, il calciatore Salvatore Marino. La Squadra mobile palermitana viene investita da furiose polemiche e arresti di funzionari e agenti.

Ma oggi ricordo Ninni Cassarà con un episodio – accaduto nei primi mesi del 1983 – che ci vide coinvolti e che una decina di anni dopo seppi che poteva avere esito funesto. Un pomeriggio, Ninni Cassarà m’invita ad andare a casa e a presentarmi verso mezzanotte in ufficio. Non mi dice il motivo e nemmeno io glielo chiedo. Mi presento e Ninni era già nel suo ufficio: “Dobbiamo fare un sopralluogo a Santa Maria di Gesù, insieme a Totuccio Contorno, dobbiamo localizzare una casa immersa nell’agrumeto”. Io salgo nei piani superiori e prelevo Contorno, che era “custodito” nell’edificio della mobile, dopo che nei pressi del commissariato di polizia di Mondello avevamo rinvenuto una sagoma umana con dei fori colorati di rosso sangue. Pertanto mi metto alla guida di un anonimo furgone, mentre loro due si nascondono all’interno. Raggiungiamo uno spiazzo sito prima dell’abitato di Santa Maria di Gesù, quindi totalmente isolato. Ci fermiamo nei pressi di un muro di cinta, che delimitava l’agrumeto. Io avevo notato che Contorno non era ammanettato e dico a Cassarà: “dutturi non è ca s’attacca a lanna (scappa)? No, Pippo mi fido, tranquillo”.

Entrambi scavalcano il muro eclissandosi nel fitto buio. Io rimango ad aspettare e mi allontano dal furgone, acquattandomi nei pressi di una siepe, da dove avevo ampia veduta. Nessuna persona e nemmeno un veicolo transitò da quel luogo. Un silenzio assordante. Dopo una lunga attesa, Ninni e Contorno ritornano soddisfatti per aver localizzato la casa e quindi rientriamo in ufficio. Non era la prima volta che facevamo uscite diurne e notturne per identificare luoghi indicateci da Contorno.

Successivamente, io vengo trasferito da Palermo e non seguo più vicende di mafia (tranne qualche puntatina in forma riservata a Palermo). Nel frattempo nasce la DIA e vengo chiamato a farne parte. Dopo il mio arrivo alla DIA, giungono ben cinque pentiti di Cosa nostra: Gaspare Mutolo, Pino Marchese, Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera e Giovanni Drago (giunge dall’America anche Tommaso Buscetta, col quale trascorsi alcuni giorni). Ebbene, uno dei pentiti mi raccontò nel dettaglio alcuni episodi criminosi, che riguardavano proprio le famiglie di Ciaculli e Brancaccio (praticamente le zone della mia crescita giovanile). In particolare mi disse che una notte, mentre era a casa, ricevette una telefonata col quale veniva urgentemente invitato a preparare un’auto e “i ferri” (le armi): “dobbiamo intercettare U curiolano (Contorno), che è uscito dalla Questura con un furgone”. Siccome la macchina rubata e le armi erano nascoste in luoghi diversi, perse tempo giungendo in ritardo sul luogo dell’appuntamento. Quando si unì al gruppo, seppe che conoscevano colore e targa del furgone. Il commando, ipotizzando che noi fossimo andati a Ciaculli, estese in quella borgata le ricerche.

A dire il vero, quella notte fummo fortunati. Se i killer, invece di girare a sinistra per Ciaculli, avessero imboccato la strada per Santa Maria di Gesù, ci avrebbero intercettati. Immaginate cosa sarebbe successo – specialmente quando ero solo. Il pentito non era a conoscenza che io quella notte facevo parte dei tre del furgone. Ancora oggi mi chiedo: come han fatto i killer a conoscere colore, targa e che eravamo usciti dalla mobile? Non ho risposte, tuttavia, parafrasando Pasolini, dico “Io so!”.