Politica

Calderoli tira dritto sull’autonomia differenziata ma intorno c’è un fuoco di fila di voci contrarie

Il processo di autonomia differenziata, voluto fortemente dal ministro Roberto Calderoli e dal suo partito – la Lega – e oggetto di scambio con i partner di governo Fratelli d’Italia, sostenitori del presidenzialismo, marcia su due binari. Da una parte il ddl Calderoli, che individua le modalità attraverso le quali (interpretando il dettato dell’art. 116 c. 3 del Titolo V della Costituzione, riformato nel 2001, riforma che Gianni Ferrara definì “un manifesto di insipienza giuridica e politica”) le regioni a statuto ordinario potranno stipulare intese con il governo, che consentirebbero l’accesso alla potestà legislativa esclusiva da 1 a 23 materie previste nei commi 2 e 3 dell’art 117, (tra cui sanità, infrastrutture, sicurezza sul lavoro, ambiente, beni culturali, ricerca e università, rapporti con l’Ue, commercio estero, giustizia di pace, previdenza complementare e integrativa, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario): una vera e propria rivoluzione, che cambierà il volto anche istituzionale della Repubblica, destinerà diritti – anche universali – sulla base del certificato di residenza, annullando di fatto il dettato dei primi 5 articoli (inseriti tra i principi fondamentali) della Carta; il tutto senza coinvolgimento dell’organo sovrano della democrazia parlamentare.

Perché tali intese possano divenire operative occorre determinare (che non significa garantire) i Lep (Livelli essenziali di prestazione): un compito che lo stesso Titolo V della Costituzione assegna alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, c.2, lettera m), ma che Calderoli ha affidato ad una cabina di regia di nomina governativa affiancata da un CLEP (Comitato per i livelli essenziali delle pretstazioni), ancora di nomina governativa, presieduto da Sabino Cassese e composto da 62 membri, per lo più di costituzionalisti di chiara fama. Considerate le scarse o inesistenti risorse disponibili – come esimi economisti, centri di ricerca, persino strutture interne alle istituzioni, come l’UPB, stanno sottolineando – l’intera partita dei Lep non potrà che portare ad una istituzionalizzazione delle diseguaglianze esistenti nel Paese (la cui perequazione comporterebbe uno stanziamento di circa 90 mld di euro, come evidenziato dallo Svimez), evidenziando una visione prestazionale dei diritti contraria ancora una volta ai principi della Carta. In altre parole, si sta mettendo mano ad una catastrofica e gigantesca riforma dello stato sociale senza alcun coinvolgimento del Parlamento.

La critica nel merito e nel metodo è strutturale: la determinazione di livelli essenziali di prestazione per le zone più arretrate del Paese contraddice appieno il dettato del c. 2 dell’art. 3 della Carta, che prevede l’eguaglianza sostanziale e il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che la impediscono. Perché alcune zone del Paese (ammesso che si riuscissero a garantire i Lep) dovrebbero accontentarsi di livelli essenziali, mentre altre progredire indisturbate verso traguardi ben più soddisfacenti? Non dovremmo forse batterci per livelli uniformi di prestazione, ovvero per la concretizzazione del c. 2 dell’art. 3?

Le dimissioni dal Clep di alcuni membri illustrissimi, primo tra tutti Giuliano Amato, ex presidente della Consulta, che – insieme a Franco Gallo, Alessandro Pajno e Franco Bassanini, che si sono aggiunti a Luciano Violante ed Anna Finocchiaro, che avevano precedentemente abbandonato – ha affermato: “Non ci sono più le condizioni per la nostra partecipazione”. Come si evince dalla lettera inviata a Sabino Cassese, le critiche si basano principalmente sulla definizione dei parametri per assicurare i diritti civili e sociali a tutto il Paese, sul ruolo del Parlamento e sulle materie da sottrarre alla devoluzione. Si tratta di una emorragia significativa e grave, che getta una consistente manciata di sabbia negli ingranaggi della inesorabile macchina messa a punto da Calderoli che, dal canto suo, assicura che queste dimissioni non fermeranno il percorso verso l’autonomia differenziata. Un allontanamento molto significativo, dal momento che alcuni di essi (Amato – che era, all’epoca della Riforma del Titolo V, ministro delle Riforme Istituzionali, e Bassanini, ministro per La Funzione Pubblica e gli Affari Regionali; Violante) sono stati tra gli artefici della Riforma del 2001.

I giuristi che hanno deciso di lasciare il comitato sottolineano di aver già espresso, fin dall’inizio, il proprio dissenso all’impostazione del lavoro: perché si tratta di fare “una mera opera di ricognizione dei Lep già rinvenibili nella legislazione esistente, non di proporre alla cabina di regia” – e quindi al Parlamento – “i nuovi Lep necessari per assicurare effettivamente il superamento delle diseguaglianze territoriali”, considerato che vi sono materie “nelle quali il legislatore non ha mai proceduto a determinare Lep e molte altre nelle quali questa determinazione è stata parziale”. E non è stato “mai fatto il lavoro di comparazione complessiva dei Lep con le risorse finanziarie”.

Intanto la ‘cabina di regia’, che avrebbe dovuto concludere – secondo la tempistica individuata da Calderoli – il proprio lavoro entro il 30 giugno, non ha consegnato al governo alcun documento. Le opposizioni (ma anche la maggioranza) hanno depositato, dopo il passaggio in I commissione in Senato e dopo le audizioni, che hanno fatto registrare assenza di consenso al progetto Calderoli della gran parte dei soggetti auditi, 557 proposte di modifica del ddl Calderoli. Per non parlare del pesantissimo documento del UPB, Ufficio Parlamentare di Bilancio, che – entrando nel merito delle questioni di sua competenza, evidenzia dati che parlano più di ogni ragionamento: occorrerebbero, ad esempio, circa 4 miliardi per garantire il tempo pieno in tutte le nostre scuole.

Davanti a questo fuoco di fila di voci contrarie – provenienti non solo, come prevedibile, da chi ha sempre contrastato il progetto, considerandolo eversivo; ma persino dalla maggioranza o da importanti uffici istituzionali, come da parti del sistema che certamente non possono essere considerate antigovernative – Calderoli pare voler andare avanti per la propria strada. Il parere dei costituzionalisti dimissionari non cambierebbe niente, perché parere “politico”, semplicemente perché difforme dalle sue intenzioni e dal suo progetto. Eppure nel Clep era lui ad averli chiamati.

La parola passa ora all’Aula del Senato, ma anche a noi cittadine e cittadini, forze sociali, movimenti, sindacati e associazioni. Molte iniziative sono state fatte e molte sono in programma, come la manifestazione del sindacato Usb che, il 24 giugno ha registrato una significativa presenza anche sul contrasto all’autonomia differenziata. Occorre soprattutto che il 30 settembre, nella giornata di mobilitazione contro l’autonomia differenziata indetta da Insieme per la Costituzione, si sviluppi una manifestazione grandiosa, oceanica, unendosi alla Cgil, che dell’iniziativa è stata promotrice. Occorre, cioè, che l’insieme individuato nel titolo diventi fatto concreto e non rimanga formula retorica; che ciascuno dei soggetti aderenti – con le proprie parole, la propria storia – riesca a mettersi in comunicazione serrata con gli altri, comprendendo che l’enormità della posta in gioco (l’unità e indivisibilità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti) richiede coesione e condivisione. Il Tavolo NOAD e la Rete dei Numeri Pari, che a quella iniziativa concorrono, lanceranno tra breve una intensa campagna di iniziative di mobilitazione di avvicinamento al 30 settembre.