Giustizia & Impunità

Corruzione, arrestati l’ex direttore dell’Agenzia delle Dogane Marcello Minenna e l’ex deputato leghista Gianluca Pini

Un’inchiesta anticorruzione nata da un’indagine per traffico di droga porta all’arresto dell’ex numero uno delle Dogane e di uno che ha fatto per tre legislature il deputato della Lega. Su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, il gip di Forlì ha arrestato e posto ai domiciliari Marcello Minenna, già direttore dell’Agenzia delle Dogane, ex assessore al Bilancio a Roma coi 5 stelle e attualmente assessore all’Ambiente nella giunta di centrodestra della Regione Calabria. Agli arresti anche Gianluca Pini, parlamentare del Carroccio tra il 2006 e il 2018, ora diventato imprenditore, attivo prima nella ristorazione e poi nel settore delle mascherine durante la pandemia. L’inchiesta ha coinvolto anche funzionari della prefettura di Ravenna e dell’Ausl Romagna: in totale sono stati emessi 34 provvedimenti cautelari.

L’indagine – Gli investigatori lavoravano fin dal 2020 su un gruppo di albanesi che si occupava di traffico di droga. L’indagine parte nel gennaio del 2020 da un sequestro di 28 chili di cocaina, trovati su un camion che proveniva dal Belgio. Gli inquirenti scoprono che in quella storia aveva un ruolo anche un imprenditore di Forlì, con precedenti penali, attivo nel settore degli autostrasporti. Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali gli investigatori hanno scoperto un “forte e consolidato rapporto personale e d’affari tra il soggetto intercettato e un ex parlamentare della Repubblica non più in carica dal 2018 e attualmente imprenditore”, si legge nel comunicato della procura, in cui non compaiono i nomi delle persone arrestate, come prevede la direttiva sulla presunzione d’innocenza, cioè il bavaglio varato dall’ex ministra Marta Cartabia. L’ex parlamentare il cui nome non è riportato, infatti, è Pini il quale, secondo gli inquirenti – gestiva “una rete di rapporti che gli ha permesso, tra l’altro, di ottenere un appalto milionario dall’Ausl Romagna per la fornitura di dispositivi medici (attività rispetto alla quale non sussisteva alcuna specifica attitudine aziendale) lucrando così anche sulla crisi pandemica del 2020“. Il riferimento è al fatto che dalla ristorazione Pini era passato, nel periodo della pandemia, alle mascherine provenienti dalla Cina: aveva ottenuto un appalto da 3,5 milioni di euro dalla Regione. Per questa vicenda la procura di Forlì contesta a Pini il reato di truffa, visto che le mascherine sarebbero state prive delle necessarie certificazioni.

L’affare delle mascherine svelato dal Fatto.it – L’affare della fornitura comincia nei primissimi giorni della pandemia. Risale infatti al 16 marzo 2020 un accordo quadro fra la Codice srl, rappresentata da Pini e l’Ausl Romagna. Le mascherine erano importate da un’azienda cinese. Secondo l’ipotesi della Procura, determinante è stata la connivenza nell’importazione da parte dell’Agenzia delle Dogane. Giunte in Italia, infatti, le mascherine dovevano essere sdoganate: e qui entrava in gioco Minenna. Gli investigatori sono convinti di aver ricostruito quelli che considerano “comprovati rapporti corruttivi” tra Pini e l’ex numero uno dell’Agenzia, oltre che con poliziotti e funzionari della prefettura. Secondo la procura tra Pini e Minenna c’era un “pactum sceleris“: il primo si sarebbe mosso per accreditare Minenna “all’interno della Lega in modo venisse considerato un uomo di quel partito e gli prometteva la conferma della nomina a Dg dell’Agenzia delle Dogane a seguito del cambio del governo, che effettivamente otteneva”. Minenna, continuano i pm,”accettava le promesse in cambio dell’asservimento della sua funzione pubblica”, in particolare “alle richieste di Pini in occasione di importazione di merci” fra cui le mascherine al centro dell’inchiesta. Secondo le accuse l’ex direttore delle Dogane “metteva a servizio di Pini l’esercizio della sua funzione pubblica sia intervenendo egli stesso con gli uffici territoriali per risolvere le problematiche di Pini sia dando ordini ai suoi più stretti collaboratori, dirigenti nazionali dell’Agenzia delle Dogane, di mettersi disposizione” dell’ex parlamentare della Lega “per risolvergli i problemi che l’imprenditore aveva in fase sdoganamento della merce ovvero in fase di accertamenti da parte dei funzionari territoriali delle dogane”. La vicenda era stata svelata dal ilfattoquotidiano.it. Alle nostre domande sul legame con Minenna, Pini aveva replicato negando favori per sdoganare mascherine cinesi: “Non mi pare che abbia un ruolo operativo nelle certificazioni e sui controlli. Non gli ho sollecitato nulla comunque, e sono andato a trovarlo in sede a Roma solo una volta, quando avevo una mezz’oretta libera”. Resta da capire come poteva Pini accreditare Minenna nei ranghi della Lega: l’ex deputato, infatti, era da tempo in rotta con Matteo Salvini e non si è mai iscritto alla Lega per Salvini premier, rimanendo un sostenitore del vecchio Carroccio a trazione settentrionale.

L’arresto di Minenna negato ad aprile – L’arresto di Minenna era stato negato una prima volta dal gip con un’ordinanza dello scorso aprile: l'”originaria valutazione”, scrive però ora il giudice, “può essere completamente rivisitata alla luce di nuovi elementi”, cioè il nuovo incarico da assessore della Regione Calabria e “il contenuto di una conversazione telefonica captata sull’utenza di Minenna”. Infatti, nel vecchio provvedimento “si escludeva il pericolo di inquinamento probatorio” perché “l’indagato non risultava più ricoprire il suo incarico di Direttore generale dell’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane, da cui era stato rimosso a seguito del meccanismo dello spoils system per le determinazioni assunte dal nuovo governo”. Ma, sostiene il gip, “questi motivi vanno rivisti essendo emerso che” l’indagato ora ricopre un altro incarico, “altrettanto rilevante e prestigioso, essendo egli divenuto assessore nella giunta della Regione Calabria con una molteplicità di deleghe di assoluto rilievo” che comportano anche la “gestione delle risorse dei soldi legati all’attuazione del Pnrr. Proprio questo importante ruolo affidatogli all’interno della Giunta regionale della Calabria, nonché di cerniera tra Regione Calabria e ninisteri coinvolti nella attuazione del Pnrr, oltre che assessore con delega alle società partecipate dell’ente territoriale, consente di ritenere che egli disponga di molteplici possibilità per inquinare le prove che si devono ancora assumere, esercitando sui singoli funzionari dell’Agenzia delle Dogane da escutere, ma anche su altri dipendenti pubblici, concrete azioni di pressione“, aggiunge il gip. Quanto alla conversazione captata, “si evince la sua volontà addirittura di incidere proprio nella fase procedimentale sui pubblici ministeri della Procura di Roma che stanno svolgendo indagini a suo carico”.

“Nella rete anche un poliziotto e un carabiniere” – Dall’inchiesta emerge anche che nella rete di Pini c’erano anche un poliziotto, un carabiniere e un dipendente della Prefettura di Ravenna. Secondo quanto ricostruito dalla procura di Forlì, sono coinvolti in posizioni minori, ma i casi riportati sono emblematici del modus operandi: il poliziotto, infatti, era stato aiutato da Pini a essere trasferito in un altro ufficio e in cambio faceva, su richiesta, accessi abusivi al sistema informativo sul conto di persone sulle quali l’ex parlamentare voleva avere informazioni. Stesso copione per un luogotenente dei carabinieri, trasferito grazie all’aiuto di Pini, che svolgeva accessi al sistema su richiesta. Nel caso del funzionario della prefettura, secondo quanto ricostruito dai pm, l’ex deputato leghista avrebbe procurato un posto di lavoro alla figlia dell’impiegato che per sdebitarsi aveva aiutato un amico di Pini nel rilascio del porto d’armi.

La vicenda delle chat – Indagando sulla vicenda delle mascherine dopo l’esposto di un’associazione locale, invece, la procura aveva sequestrato il cellulare dell’ex deputato: era stato in questo modo che gli investigatori avevano scoperto i messaggi tra Pini e Alessandro Mancini, ex procuratore di Ravenna poi nominato procuratore generale de l’Aquila e quindi trasferito per ordine del Csm. Nel provvedimento di Palazzo dei Marescialli per il fratello dell’ex 007 Marco Mancini si legge che “dal contenuto delle chat” presenti nel telefono di Pini “si evince, un rapporto di consolidata amicizia e frequentazione tra il dott. Mancini ed il Pini, e non di mera conoscenza e occasionale convivialità; le interlocuzioni si svolgono in tono confidenziale, evincibile anche dall’uso reciproco del tu, pronome di seconda persona riservato in genere ai rapporti informali”. In vari messaggi, praticamente, Pini spiegava di aver sentito Cosimo Ferri, già deputato e sottosegretario alla giustizia, componente del Csm e storico leader della corrente di Magistratura indipendente. L’obiettivo era trovare l’appoggio di Ferri per far nominare Mancini come nuovo procuratore generale di L’Aquila. “Il complesso degli elementi acquisiti agli atti – scriveva il Csm – conduca ad affermare che il dott. Alessandro Mancini non possa più esercitare, in piena indipendenza ed imparzialità, le funzioni giudiziarie di Procuratore generale presso la Corte di appello dell’Aquila”.