Politica

Davigo condannato, spero che non subisca linciaggio mediatico

Partiamo dai fatti.

Ieri l’ex magistrato di Mani Pulite ed ex membro del Csm, Piercamillo Davigo, è stato condannato dal tribunale di Brescia ad un anno e tre mesi per rivelazione del segreto d’ufficio, oltre a risarcire con 20mila euro il collega Sebastiano Ardita, ora procuratore aggiunto a Messina. I fatti per i quali l’ex pm, paladino dei giustizialisti, è stato condannato in primo grado sono particolarmente gravi, ossia aver divulgato fatti e notizie coperte dal segreto d’ufficio.

È importante ricordare che la condanna non è definitiva fino a quando non passerà in giudicato, ossia dopo eventuale Appello e Cassazione. Questo principio cardine della Costituzione, ossia la non colpevolezza fino a sentenza definitiva, vale per tutti i cittadini ma i giustizialisti, spesso capitanati dal moralizzatore Davigo, non hanno quasi mai aspettato non solo una sentenza definitiva ma neanche la condanna di primo grado.

Inutile ricordare tutte e i concetti espressi da Davigo in questi anni. La cosa importante oggi è far capire che il giustizialismo sfrenato spesso ha portato i moralizzatori a subire pessime figure di coerenza. Ma oltre a ciò il comportamento di alcuni personaggi in certi casi dimostra che il potere possa far credere all’uomo di essere al di sopra della legge che egli stesso dovrebbe far rispettare. Perché il punto è proprio questo: la bolla del potere.

Il fantomatico “potere giudiziario” è forse il più incisivo e pericoloso se utilizzato senza un reale bilanciamento e controllo. Fra i tre poteri dello Stato è il più complicato da gestire e in questi ultimi 30 anni ha sicuramente avuto un peso enorme sulla vita socio-economica del nostro Paese. Se ci pensate, dagli anni di Tangentopoli ad oggi il “potere giudiziario” è stato protagonista più della politica che dovrebbe detenere i restanti due poteri, ossia il legislativo ed esecutivo.

Ma non basta, come spesso ho ricordato, anche i restanti due poteri sono sovente governati da magistrati fuori ruolo ma all’interno degli Uffici legislativi e governativi. Insomma, una grande egemonia reale del potere giudiziario sulla vita della nostra società. Il caso Palamara e i tanti casi spesso dimenticati dovrebbero far riflettere e dovrebbero aprire pagine nuove di riforme. Ma basta vedere chi in questi giorni sta intervenendo contro la semplice proposta di riforma Nordio, magistrato, ora ministro della Giustizia ma formalmente eletto in Parlamento.

Chi protesta su certi temi, ad esempio la pubblicazione di intercettazioni non rilevanti, non ha certo interesse al corretto funzionamento della giustizia e al rispetto dei diritti e della dignità di una persona. Chi protesta vorrebbe impunemente continuare ad usare le intercettazioni per denigrare, sputtanare o influenzare la vita pubblica di un cittadino. Insomma, quello che poi in primo grado è parzialmente successo con la condanna di Davigo, ossia aver rivelato documenti e atti coperti dal segreto d’ufficio. In questo caso atti che non potevano proprio essere conosciuti ed utilizzati. Prassi che molto spesso viene aggirata per poi arrivare magicamente ai giornali.

Fatti che sono accaduti con enorme disinvoltura. E come ha ricordato Paolo Mieli, proprio in occasione dei funerali di Berlusconi, nel 1994 quando pubblicò in prima pagina l’indagine a carico di Berlusconi mentre presiedeva a Napoli una conferenza dell’Onu sulla criminalità organizzata, vi fu lo zampino della procura di Milano. Praticamente, notizie fatte direttamente arrivare ai giornali per fini semplicemente politici.

Questo il vero nodo che prima o poi si dovrebbe scogliere: la politica fatta dai pm. Ossia il potere giudiziario che domina la politica. Temi detti e ridetti molte volte e che prima o poi si dovranno affrontare quando la politica riconquisterà la propria autorevolezza senza paura. Non nell’interesse del singolo ma dell’intera collettività. Perché la Giustizia per essere utile al cittadino non deve essere distratta e interessata alla politica ma deve essere concentrata a far funzionare il sistema e a creare le condizioni per una civiltà giuridica spesso dimenticata.

Per ora auguriamo a Davigo di non dover subire quel linciaggio mediatico che altri hanno subito per un semplice avviso di garanzia. Termine che oramai sembra un ossimoro.