Ambiente & Veleni

Pfas nelle acque potabili della Lombardia, Greenpeace chiede trasparenza alla Regione (che non ha mai risposto)

Per conoscere gli esiti delle analisi effettuate allo scopo di individuare la presenza di Pfas nelle acque potabili lombarde, Greenpeace Italia mette alle strette la Regione Lombardia. E lo fa chiedendo il riesame della richiesta di accesso agli atti (FOIA) presentata più volte dall’organizzazione ambientalista e a cui non è mai stato dato riscontro. Già il 27 ottobre 2022 e il 21 dicembre 2022, infatti, Greenpeace Italia aveva inviato alla Regione due richieste ufficiali. Scaduto abbondantemente il termine di legge di trenta giorni concessi all’Ente affinché si pronunciasse in merito, l’associazione presenta ora un’istanza al Responsabile per la prevenzione e la trasparenza della Regione. Il tutto, a tre settimane dalla pubblicazione dell’inchiesta sulla presenza di Pfas nell’acqua destinata a uso potabile della Lombardia dalla quale è emerso che, nella regione, in quasi il 19% dei campioni di acqua destinata a uso potabile analizzati dal 2018 dalle autorità competenti è stata registrata la presenza di Pfas. Che sono, val la pena ricordarlo, pericolose sostanze perfluoroalchiliche utilizzate in industria, chiamate ‘forever chemicals’ per la loro lunga persistenza nell’ambiente, e che vengono associate a numerosi problemi per la salute, tra cui alcune forme di tumore.

Greenpeace chiede alla Regione un’operazione di trasparenza – “La Regione Lombardia, insieme a pochi altri gestori, non ha mai risposto alle nostre istanze di accesso agli atti riguardo la presenza di Pfas nelle acque potabili, violando le normative vigenti. Se per la Regione è tutto sotto controllo, perché non fa un’operazione di trasparenza, così come da anni avviene in Veneto per garantire a tutta la cittadinanza l’accesso alle informazioni?” chiede Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, che ha richiesto l’accesso agli atti “proprio perché alcuni enti preposti non hanno pubblicato spontaneamente i risultati delle analisi, come si dovrebbe fare per garantire la trasparenza amministrativa”.

Pfas nel 19% dei 4mila campioni analizzati, almeno 6,5% (dei 4mila) destinati al consumo umano – L’associazione ambientalista, inoltre, ha pubblicato oggi sul proprio sito internet un approfondimento per fare chiarezza sulle polemiche seguite alla pubblicazione dei dati sulla presenza di Pfas in quasi il 19% dei campioni di acqua destinata a uso potabile analizzati dal 2018. “Da un attento riesame di tutti i dati consegnati a Greenpeace da Ats e dai gestori emerge che 262 campioni (ovvero il 6,5% del totale di circa 4mila) possono essere considerati con ragionevole certezza assimilabili alle acque di rubinetto – spiega Greenpeace – e quindi destinate al consumo umano, e indicavano la presenza di Pfas da un minimo 5 nanogrammi per litro (ng/l) a un massimo di 1146 ng/l. Questi dati, secondo le informazioni fornite dagli enti stessi (ATS e gestori), sono accompagnati da diciture come ad esempio “acqua destinata al consumo umano: potabile”, “acqua pozzo post trattamento” “acqua trattata”, “post trattamento”, “uscita filtro” o “uscita impianto”. “Il conteggio effettuato da Greenpeace – chiarisce l’associazione – è molto conservativo ed esclude non solo campioni per cui si ha la ragionevole certezza che si tratti di acqua di rubinetto (ad esempio “rete” o “acquedotto”), ma anche campioni etichettati come “miscela”, “pozzo”, “uscita vasca”, “serbatoio”, “grezza”, “pompa”, “falda”, “sorgente” o, in moltissimi casi, addirittura non etichettati. Greenpeace Italia ricorda inoltre che, in base alle più recenti evidenze scientifiche, i Pfas sono pericolosi per la salute umana anche a concentrazioni molto basse: “L’unico valore cautelativo è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria.