Calcio

Nella Turchia di Erdogan il calcio sta sprofondando sotto montagne di debiti

Club schiacciati dai debiti eppure ancora sorprendentemente attivi in sede di mercato; regole morbide per l’iscrizione ai campionati, con pesi e misure diversi a seconda dei bacini di utenza; interventi dello stato per salvare società che, in altri ambiti economici, sarebbero già da tempo in bancarotta. Per una volta non si sta parlando del calcio italiano, ma di un movimento pallonaro che se la sta passando ancora peggio: quello turco. Il cui simbolo del declino è rappresento dalla squadra appena laureatasi campione della Süper Lig 2022-23, il Galatasaray, tornato sul gradino più alto quattro anni dopo l’ultimo titolo.

Negli ultimi tempi i giallorossi di Istanbul hanno fatto notizia a livello continentale solo per l’accumulo di giocatori di nome scartati dagli altri campionati, oppure al crepuscolo della propria carriera: Juan Mata, Mauro Icardi, Nicolò Zaniolo, Lucas Torreira, Dries Mertens, Sergio Oliveira, Haris Seferovic. Giocatori dalle qualità comunque importanti che hanno permesso al tecnico Buruk Okan di concludere con successo il ritorno da allenatore nel club della sua vita. Un Galatasaray di cui era stato una pedina fondamentale negli anni d’oro tra i novanta e i duemila, culminati con la vittoria della Coppa Uefa proprio a cavallo del millennio. Okan era stato scelto dal Galatasaray in estate dopo l’ultima disastrosa stagione targata Fatih Terim, terminata al 13esimo posto. Ci arrivava dopo aver già vinto la Süper Lig alla guida di un altro club di Istanbul, il Başakşehir tifato dal presidente Erdogan e da pochissime altre persone nel paese. Proprio lo scarso seguito era stato alla base del ridimensionamento che aveva causato l’esonero di Okan la stagione successiva al titolo.

Sulla carta uno squadrone, il Galatasaray è riuscito a confermare le attese in campo. Icardi si è classificato secondo nella classifica marcatori dietro a Enner Valencia del Fenerbahce, superando la barriera dei 20 gol; Zaniolo ha regalato qualche notevole giocata degna della sua antica fama, anche se poi si sono ripresentati atteggiamenti in linea con la sua fama più recente e meno edificante; Mertens ha fornito il contributo di qualità ed esperienza previsti, arrivando a festeggiare a 36 anni il primo titolo nazionale in carriera. In estate il Galatasaray aveva speso 47 milioni per rinforzare la propria rosa, circa due terzi in più di quanto ricavato dalle cessioni. Ma il Galatasaray aveva anche 410 milioni di euro di debiti, pertanto la domanda sorge spontanea: dove trova il club i soldi per pagare i cartellini e gli stipendi, non certo low-cost, dei nomi sopra citati?

Un tempo simbolo del calcio turco per i suoi successi sul campo, oggi il Galatasaray lo è per lo stato disastroso in cui si trova il calcio nel paese. I quattro principali club, Galatasaray, Fenerbahce, Besiktas e Trabzonspor, sommano un debito complessivo pari a circa 1.8 miliardi di euro, con un incremento della percentuale di indebitamento del 579% rispetto agli ultimi otto anni. Una stima di Anadolu Ajanasi, agenzia di stampa di proprietà governativa, ha rilevato che nel 2021 la situazione debitoria delle quattro big era superiore al budget complessivo di sette Ministeri dello stato turco. Denaro bruciato in quantità massicce senza nemmeno un minimo ritorno sotto il profilo della competitività internazionale. Nel 2017 la Turchia era decima nel ranking Uefa, mentre lo scorso anno ha chiuso dieci posizioni più in basso, poco sopra Cipro. Nel 2018 il Besiktas si era qualificato agli ottavi di Champions chiudendo la fase a gironi imbattuto, mentre l’edizione 2022/23 della Champions è stata la prima in 27 anni a non avere la presenza di alcuna squadra turca nella fase a gironi dopo l’eliminazione del Trabzonspor contro il Copenaghen ai play-off.

I debiti non sembrano agire da freno alle spese. Nel 2021/22 solo 6 allenatori su 20 hanno chiuso il campionato al loro posto, mentre nel 2022/23 il rapporto è stato di 9 su 19, con due club ritiratisi a stagione in corso dal torneo. Da quando Ali Koc, rampollo di una delle più note dinastie imprenditoriali turche, ha assunto la presidenza del Fenerbahce nel 2018, il club ha ingaggiato una media di 30 giocatori a stagione. Il contratto di Zaniolo con il Galatasaray, che lo ha pagato 13 milioni di euro più bonus, prevede addirittura un bonus Pallone d’Oro nel caso l’italiano dovesse vincere il trofeo, mentre l’attuale vicepresidente del Galatasaray Erden Timur, dopo l’ultimo mercato, ha parlato di obiettivo Champions per la squadra. Vittoria della Champions, ovviamente.

Atteggiamenti e proclami che viaggiano in direzione opposta rispetto a una realtà che parla di una crescente insostenibilità dei costi delle squadre. In primo luogo per le difficoltà dei club nel generare valore dalle proprie rose, visto che l’importazione continua di scarti di altri campionati o di elementi a fine carriera – agevolata dalla scadenza del calciomercato una settimane dopo rispetto al resto d’Europa, che certifica la dimensione del proprio calcio tra il parcheggio e l’ultima spiaggia – non consente particolari plusvalenze. In secondo luogo per le condizioni economiche del paese, con un’inflazione cresciuta dell’80% negli ultimi quattro anni, il tasso di disoccupazione raddoppiato e la crescita esponenziale del debito pubblico. Non sorprende che in un simile contesto i diritti televisivi, che nel 2015 furono venduti per 415 milioni di dollari, oggi possono contare su offerte massime pari a poco più di un terzo.

“Esiste un innegabile rapporto di causa-effetto tra l’economia e altri settori della vita, compreso lo sport”, ha affermato Bartosz Sawicki, analista di mercato presso Conotoxia fintech, società di cambio valuta e trasferimento di denaro che ha condotto un’analisi sugli effetti della crisi economica della Turchia sul suo calcio. Il rapporto di Conotoxia mostra chiaramente la correlazione tra la crisi economica turca e la caduta nel baratro dei debiti del calcio. La soluzione del governo è stata quella di finanziare il debito con altro debito. Due anni fa Erdogan ha coinvolto le quattro principali banche del paese in un intervento di ristrutturazione del debito delle società calcistiche, con un programma di rimborso spalmato lungo nove anni. Nel caso del Galatasaray si tratta di restituire, entro il 2030, circa 200 milioni di euro, una cifra calcolata al ribasso grazie al deprezzamento della lira turca.

A parte il citato Başakşehir, le cui fortune sono state legate alla politica, anche se i successi sono stati ottenuti sul campo in maniera limpida, gli interventi di Erdogan nel calcio turco non sono mai mancati. Durante il ventesimo anniversario del suo mandato ha supervisionato l’operazione di ricostruzione e ammodernamento degli stadi nel paese, con progetti i cui costi hanno tranquillamente sforato le previsioni iniziali. Progetti tutti assegnati a nomi appartenenti alla cerchia del presidente. Discorso simile il sistema di bigliettazione elettronica introdotta per combattere il bagarinaggio, del quale deteneva l’esclusiva Aktifbank, società all’epoca presieduta dalla Calik Holding di Berat Albayrak, genero di Erdogan ed ex ministro dell’economia. Fino alla recente operazione salva-calcio a uso e consumo delle big. Una storia già sentita.