Società

Il senso di colpa può portare a conseguenze estreme, guerre incluse. E lo sdegno non basta

Il bambino nei primi anni di vita vive senza sensi di colpa (figurativamente il paradiso terrestre) ma con gli anni essi progressivamente si impongono nella sua mente (dopo aver mangiato la mela: la perdita del paradiso terrestre).

I sensi di colpa sono frutto di una lotta incessante fra due componenti presenti nella mente di ognuno di noi: gli impulsi primitivi che tendono a volere sopraffare gli altri e imporre in modo immediato la soddisfazione dei nostri desideri (in psicoanalisi si chiama Es) e le regole sociali, familiari e personali coi valori e la morale (in psicoanalisi Super Io).

Per molti di noi il senso di colpa è il dolore più grande che possa esistere in quanto si situa al nostro interno, risulta impossibile da scacciare e martella giorno dopo giorno, ora dopo ora, addirittura minuto dopo minuto rendendo la vita intollerabile. Per esperienza clinica ritengo che sia la causa principale dei suicidi. Spesso quello che per altri appare banale può divenire un tarlo che suscita senso di colpa e distrugge la vita. Questo rende molte volte il suicidio incomprensibile ai familiari o ai conoscenti, in quanto pare assurdo stare così male per eventi ritenuti di poco conto. Ricordo i genitori di un ragazzo suicida, perché aveva raccontato frottole sul suo percorso universitario, che non si capacitavano di come alcuni insuccessi scolastici potessero aver causato un atto così grave.

Le persone cercano di annegare il senso di colpa nell’alcol, nelle droghe, nel gioco o con gesti che paiono assurdi come tagliarsi la pelle (endemico fra gli adolescenti) o sottoporsi a diete drastiche.

La guerra trae il suo fascino dal fatto che annulla i sensi di colpa. Soprattutto i soldati in prima linea demandano al capo la responsabilità delle loro azioni. Il presidente o il dittatore assumono su si sé tutta la responsabilità delle decisioni e i loro sottoposti, a tutti i livelli, eseguono sentendosi liberi di esprimere tutta la loro aggressività e rabbia repressa senza provare alcun rimorso. Uccidere dei bambini, tagliare la testa al nemico o bombardare un ospedale divengono gesti eroici e non più riprovevoli perche “Dio lo vuole” oppure “servono per salvare la patria”.

Questa è la sottile attrazione che esercita la guerra e che porta popoli civili a compiere gesta efferate come avviene durante tutti i conflitti. La liberazione dal senso di colpa con espressione della componente repressa aggressiva spiega ciò che è avvenuto ad Auschwitz e che avviene ogni giorno nei teatri di guerra. Esprimere riprovazione morale, sdegno e condanna temo non serva a nulla. Anzi: alimentare ancora di più il senso del dovere e il senso di colpa inconscio, perché ognuno ha pulsioni distruttive verso gli altri, può ingenerare il desiderio di “farla finita” col malessere interiore che si sente dentro e precipitare verso una “bella guerra igiene del mondo”, come affermava il Manifesto futurista.

Anche su altri temi esiste la delega ai governanti della responsabilità per lenire il senso di colpa che sentiremmo dentro di noi. Un esempio lampante è quello dei migranti. Alcuni politici assumono su di sé la responsabilità di leggi o norme che potenzialmente possono portare alla sofferenza o alla morte di queste persone che cercano di forzare la chiusura delle frontiere. Si fa riferimento al fatto che la loro migrazione è illegale, che possono provocare problemi economici e sociali se arrivano in massa e che comunque disturbano il nostro placido tran tran.

Se dovessimo noi decidere di far morire affogato un migrante ci sentiremmo terribilmente in colpa e soffriremmo. Delegando al politico, che se ne assume astutamente la totale responsabilità per lucrare nei voti, ci sentiamo liberi dal senso di colpa e se una nave affonda possiamo avvertire dentro di noi un sollievo pensando “qualcuno in meno” e “forse altri si scoraggeranno vista la mal riuscita di questi che sono affondati”.

Le parole di sdegno, necessarie, non sono sufficienti. Divengono addirittura controproducenti quando sono unilaterali e, astutamente, tralasciano le nostre colpe per buttare tutta la responsabilità su altri. Se ad esempio commento l’attuale guerra mettendo in evidenza solo le atrocità di una parte è come se, tra le righe, affermassi che le nostre azioni sono corrette perché siamo i “buoni” e reagiamo per difendere valori più importanti delle persone uccise. Se un nemico muore, in fondo, “meno uno tra i cattivi”.

Educare le persone a riconoscere i propri desideri profondi, tra cui certo albergano anche desideri aggressivi e di sopraffazione, è l’unica strada percorribile. Solo la comprensione dei propri e altrui desideri, che io chiamo Intelligenza del desiderio, ci potrà aiutare. Le parole retoriche dei governati che esprimono sdegno e riprovazione e che sottilmente, per tornaconto elettorale o di immagine, non fanno mai “mea culpa” alimentano ancora di più il bisogno di liberarsi dal senso di colpa e ricercare la guerra e la distruzione degli avversari.