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Sale la tensione tra Israele, Libano e Palestina: si rischia un secondo fronte di guerra. “Ma l’escalation non conviene a nessuno”

È sempre più tesa la situazione nella striscia di Gaza e nel sud del Libano, dove Israele tra il pomeriggio di giovedì e la mattina di venerdì ha bombardato quelli che il portavoce dell’Esercito israeliano, Daniel Hagari, ha riferito essere centri di addestramento e depositi di armi di Hamas, il cui leader politico Ismail Haniyeh si trova a Beirut da mercoledì, oltre ad alcuni luoghi disabitati nei pressi di Al Kolayleh, vicino alla città meridionale libanese di Tiro. Nel primo pomeriggio, il Capo dell’Esercito israeliano Herzl Halevi ha ordinato poi la mobilitazione dei riservisti, con particolare priorità ad addetti alle difese anti aeree e personale dell’aviazione. Nelle stesse ore, tre coloni israeliani – due sorelle e la loro mamma, provenienti dall’insediamento illegale di Efrat, a sud di Gerusalemme – sono stati uccisi da alcuni colpi d’arma da fuoco sparati da militanti palestinesi nella West Bank, scatenando ulteriori rappresaglie di altri coloni nei confronti di cittadini palestinesi in uscita o in ingresso a Ramallah.

Secondo l’analista di Hareetz Amos Harel, si tratta della più delicata situazione sul versante della sicurezza del confine settentrionale israeliano sin dalla guerra con Hezbollah del 2006, anche se in questo caso il Partito di Dio non è stato chiamato direttamente in causa dalle autorità israeliane che ritengono Hamas – che ha alcuni rappresentanti in Libano, ad esempio nei campi profughi di Al Rashidiye, vicino a Tiro – responsabile dell’innalzamento della tensione ma che comunque hanno ribadito di considerare lo Stato libanese, ed in particolare la stessa Hezbollah, responsabile di qualunque minaccia provenga dal proprio territorio.

I raid israeliani, che al momento non hanno causato vittime e sembrano di tipo “dimostrativo”, sono stati infatti condotti all’indomani delle salve di razzi piovute in territorio israeliano sia dalla Striscia di Gaza che dal Libano meridionale, a loro volta in risposta alle violente retate che nei due giorni precedenti le Israeli Defense Forces hanno effettuato all’interno della moschea Al Aqsa di Gerusalemme, conclusesi con una trentina di feriti ed oltre 350 arresti di fedeli impegnati nelle preghiere del mese di Ramadan. Erano circa due anni che in Israele non atterravano razzi provenienti dal sud del Libano e, sebbene nessun gruppo nr abbia finora rivendicato il lancio, alcune fonti citate dal Al Jazeera riferiscono sia opera di alcune formazioni palestinesi basate in Libano.

Dei 34 razzi – oltre ai 44 da Gaza – partiti giovedì mattina da alcune batterie piazzate nei pressi della cittadina di Marjayoun – dove questa mattina è stato ritrovato un lanciatore -, venticinque sarebbero stati intercettati dal sistema Iron Dome, mentre gli altri sarebbero caduti tra il mare ed aree scarsamente abitate nei pressi dei villaggi israeliani di confine come Matsuva, Hanita, Eylon, Admit, Rosh Hanikra, Hila e Shlomi, dove 20 minuti prima degli impatti sono risuonate le sirene d’emergenza per invitare la popolazione a rifugiarsi nei bunker. Tre cittadini israeliani, tuttavia, sono stati lievemente feriti dalle schegge dei razzi e portati in ospedale, mentre è stata disposta la chiusura sia dello spazio aereo israeliano che degli stabilimenti balneari nella costa nord del Paese. Al netto delle premesse, potenzialmente esplosive, che stanno spingendo Tel Aviv ad ammassare truppe soprattutto a ridosso della Striscia di Gaza, mentre al momento non si registrano movimenti rilevanti nei pressi del confine nord , secondo analisti come Sami Nader, del Levant Institute for Strategic Affairs, è al momento improbabile che si vada verso un’escalation tra Hezbollah e Israele nelle prossime settimane. “Nessuno dei due ha interesse che la situazione precipiti”, ha commentato Nader.

Se il governo di Benjamin Netanyahu poteva nei giorni scorsi avere interesse a convogliare l’attenzione dell’opinione pubblica dai suoi guai giudiziari, dalla riforma della giustizia e dalle proteste molto partecipate che quest’ultima ha stimolato in diverse città israeliane ad una minaccia esterna, rappresentata da Hamas o Hezbollah, è altrettanto realistico pensare che l’esecutivo israeliano non possa permettersi in questo momento, per ragioni esistenziali, un nuovo fronte di guerra. “Netanyahu non è nella posizione di poter gestire una escalation in questo momento – commenta Hoda Abdel-Hamid su Al Jazeera – perché ha troppi problemi nella gestione del suo governo, in particolare una relazione pessima col suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, che ha appena provato a licenziare, e con i funzionari di sicurezza, i quali hanno nei giorni scorsi riaffermato come la riforma della Giustizia proposta dal premier possa avere un impatto rilevante sulla gestione della sicurezza in Israele”.

Un discorso simile vale forse anche per la stessa Hezbollah, alle prese con la crisi economica libanese – che sta colpendo duramente la già impoverita popolazione del sud del paese – e con un delicato e fragile processo di negoziazione per un nuovo presidente della Repubblica, il quale potrebbe essere influenzato positivamente dal recente riavvicinamento tra Arabia Saudita ed Iran. Una guerra con Israele, in questo momento, avrebbe l’effetto di togliere credibilità al Partito di Dio come stakeholder istituzionale, ricalibrando e rafforzando la percezione di una milizia che trascina il Paese in conflitti che non cerca. Va tuttavia prestata attenzione ai motivi della permanenza di Ismail Haniyeh in Libano. Non è chiaro se il leader palestinese incontrerà delle autorità libanesi ma secondo il giornalista libanese Souhaib Jawhar, Haniyeh vedrà sicuramente il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ed il capo dell’altro partito sciita, nonché speaker del Parlamento libanese, Nabih Berri. Secondo Jahwar, il proposito della visita sarebbe quello di rafforzare il coordinamento tra i Guardiani della Rivoluzione iraniani (Irgc), Hezbollah, Hamas e la Jihad islamica, anch’essa presente con alcuni rappresentanti ed emittenti televisive basate in territorio libanese. Secondo un report di Brookings, i quattro soggetti hanno già unito le forze in alcune operazioni congiunte nel maggio 2021, ed il leader di Hamas, Yahya Sinwar, ha rivelato in un documentario trasmesso da Al Jazeera nel 2022 che le operazioni venivano gestite proprio dal Libano.