Politica

Friuli Venezia Giulia, la vittoria di Fedriga indica alla politica nazionale una direzione precisa

Premetto che commento i risultati delle elezioni in Friuli Venezia Giulia da quadruplice alieno: culturalmente, sono cittadino del mondo, etnicamente sono genovese, in FVG insegno a Trieste, che è un’altra cosa rispetto al Friuli, e in più mi riferisco ancora a exit poll, per quanto consolidati, non ai risultati definitivi. La settimana scorsa ero a Trieste per la presentazione di un libro e non ho avvertito, neppure in loco, alcuna suspence elettorale. Come sempre, le mie vaghe allusioni politiche potevano al massimo disturbare i colleghi, ma cadevano nell’assoluta indifferenza, se non nell’incomprensione, degli studenti triestini di Diritto: più interessati alla politica, in genere, di quelli di Ingegneria.

Come largamente previsto ha vinto con ampio margine, comunque fra il 20 e il 30%, Massimiliano Fedriga, triestino di adozione, già salviniano ortodosso, tanto da accompagnare il Capo, sempre piuttosto impopolare da queste parti, a valutare la fattibilità di un muro anti-migranti nel goriziano. Altri tempi: oggi Fedriga è vicino al più rassicurante Luca Zaia, tanto da avere il ruolo di Presidente della Conferenza Stato-Regioni. Ma l’attenzione degli osservatori – i giornaloni dedicavano a queste elezioni regionali, ma anche comunali, a Udine, lo stesso spazio che a uno starnuto di Meloni – più che al risultato finale, scontato, guardava a due elementi: l’affluenza al voto e i rapporti di forza interni alle coalizioni.

Quanto all’affluenza, che sia rimasta nei dintorni del 45% per cento, di cinque punti inferiore a quella delle regionali del 2018, in cui oltretutto si votava solo la domenica e non anche il lunedì, a me pare sia la conferma non solo della crescente disaffezione dalla politica, ma anche di un altro trend, tutt’altro che friulan-giuliano, e che personalmente interpreto così. A me pare che il FVG, come il paese e forse il mondo, resti spaccato come una mela fra due coalizioni sempre più polarizzate, che chiamerò destra-destra, a traino meloniano, e sinistra-sinistra, a traino schleiniano. Il risultato penoso del Terzo polo, in questo momento scavalcato persino dai no-vax, conferma questa sensazione.

E qui si passa all’altro motivo di interesse, i rapporti di forza interni alle coalizioni, sui quali, più che sui risultati finali che ancora ignoro, azzardo questa previsione. Dentro la coalizione di destra-destra, i cui elettori sono sicuramente andati maggiormente al voto di quelli di sinistra-sinistra, il moderato Fedriga ha comunque arginato, anche grazie alla propria lista civica, la perdita di consensi della Lega rispetto a Fratelli d’Italia. Dentro la coalizione di sinistra-sinistra, i cui elettori sono andati al voto meno di quelli di destra-destra, il civico Moretuzzo ha limitato i danni, tenendo lo zoccolo duro degli elettori del Pd, come invece non è riuscito ai Cinquestelle, da sempre poco presenti sul territorio, e che alle comunali di Udine si sono presentati divisi dai Democratici.

Un’ultima notazione, tutt’altro che di colore. Diminuzione dell’affluenza, soprattutto a sinistra, e autonomia regionale, che potrebbe estendersi dalle attuali Regioni a statuto speciale – come il FVG – ad altre regioni del Centro-nord, indicano alla politica nazionale, ma forse non solo, una direzione abbastanza precisa e tutt’altro che esaltante. Da un mondo globalizzato dal mercato neoliberista e dalla rivoluzione digitale si sta tornando, più ancora che a un pianeta regionalizzato, a uno localizzato, paesizzato, campanilizzato. Con la differenza, rispetto al Novecento, che le piccole patrie del friulano Pasolini rischiano di diventare altrettanti cloni, riproduzioni in piccolo o in piccolissimo, degli Stati nazionali.