Politica

Il voto ai fuori sede è entrato nell’agenda politica. Forse

di Bianca Dominante, The Good Lobby

Decine di valigie, simbolo dei lunghi viaggi che, spesso, studenti e lavoratori fuori sede affrontano per votare nel comune di residenza; centinaia di schede elettorali fac-simile su cui sono state raccolte esperienze, richieste e speranze frustrate di numerosi studenti fuori sede; un rappresentante per (quasi) tutte le forze politiche italiane, a indicare che, finalmente, la questione del diritto di voto ai fuori sede è entrata nell’agenda politica. Forse.

Con questa immagine si è concluso, il 16 marzo scorso, in Piazza Santi Apostoli a Roma, il tour “Il Voto non è Scontato”: un viaggio lungo alcune delle principali città universitarie d’Italia (Milano, Torino, Firenze, Bologna) organizzato da noi di The Good Lobby, Will Media, University Network e la Rete Voto Sano da Lontano per richiamare la politica agli impegni presi in campagna elettorale sul tema del voto a distanza per i fuori sede. Sei partiti (Partito Democratico, Lega, Movimento 5 Stelle, Coraggio Italia, Alleanza Verdi-Sinistra, Possibile) avevano infatti promesso di approvare una legge sul voto fuori sede in tempi brevi. Così, in occasione della conferenza stampa in Piazza Santi Apostoli è stato ufficialmente presentato l’intergruppo parlamentare che nei prossimi mesi lavorerà per trovare una soluzione al problema del voto ai fuori sede, a partire dalle 9 proposte di legge già presentate.

Frutto del lungo lavoro di concertazione portato avanti dalla Rete Voto Sano da Lontano negli ultimi mesi, l’intergruppo coinvolge trasversalmente tutte le forze politiche: Fabio Roscani (Fratelli d’Italia), Eleonora Evi (Si-Verdi), Vittoria Baldino (M5s), Marianna Madia (PD), Riccardo Magi (+Europa), Giulia Pastorella (Azione) e Marco Pietrandrea (Lega).

Che sia la volta buona?

L’Italia è ancora l’unico Paese nell’Unione europea – a eccezione di Malta e Cipro che, date le dimensioni molto ridotte dei loro territori, non ne hanno bisogno – a non consentire ai propri cittadini di votare in un comune diverso da quello della propria residenza. Questo nonostante siano circa 5 milioni gli italiani a spostarsi per motivi di studio o lavoro. Non è una novità che la maggior parte di questi provengano dalle regioni del Sud Italia, spesso costretti dalle scarse opportunità che i rispettivi luoghi di origine offrono.

A ogni tornata elettorale questi 5 milioni di persone sono puntualmente poste davanti a un bivio: scegliere di votare, spendendo soldi per viaggi spesso lunghi e tortuosi, oppure rinunciare al voto. Cinque milioni di italiani vengono quindi messi nella posizione di dover rinunciare a un diritto costituzionale come quello del voto, che – ironia della sorte – potrebbe influenzare le sorti proprio di quei territori che a molti di loro offrono pochissime o nessuna prospettiva.

La questione del voto ai fuori sede è rimasta, per anni, un ronzio quasi fastidioso nelle orecchie della politica, da sfruttare solo in tempo di campagna elettorale e gettare nel dimenticatoio a elezioni concluse. Chi ne ha fatto una vera e propria battaglia sono stati, ovviamente, i diretti interessati: i fuori sede.

Il Comitato “Io Voto Fuori Sede” dal 2008, e la Rete Voto Sano da Lontano dal 2021, non hanno mai smesso di farsi portavoce delle difficoltà economiche e logistiche che studenti e lavoratori fuori sede devono affrontare per esercitare il proprio diritto di voto. La richiesta per i politici che nel corso degli anni si sono alternati è sempre stata una: approvare una legge per garantire il voto dei cittadini che vivono in Italia, ma lontani dalla propria residenza. Perché, è bene ricordarlo, per gli italiani all’estero il problema non si pone: votare per corrispondenza è realtà, per loro. Paradosso di un sistema elettorale che fatica a comprendere le esigenze della cittadinanza o di una politica che sceglie deliberatamente di ignorare le difficoltà del 10% del proprio elettorato?

Rinvangare il passato forse non serve a nulla, ma tenere traccia delle richieste mosse dai cittadini e dalla società civile e di come invece la politica si sia sempre tirata indietro di fronte alle proprie responsabilità, sì. Almeno fino ad oggi che, complice l’astensionismo record, qualcosa sembra finalmente muoversi verso la giusta direzione. Il banco di prova sono le prossime elezioni europee che si terranno nel 2024: se, per l’ennesima volta, 5 milioni di italiani saranno costretti a barattare il diritto di voto con soldi e/o lunghi viaggi, la politica avrà fallito, di nuovo.