Giustizia & Impunità

L’amministrazione giudiziaria per Brt e Geodis, il Tribunale: “Un nuovo potere dei processi lavorativi alternativo allo Stato”

Facchini e corrieri costretti a “turni massacranti“, obbligati a vedersi scalare dallo “stipendio” già basso le rate dei furgoncini, abituati a non godere di ferie o giorni malattie e, come animali da pascolo, spinti a una “transumanza” da una società all’altra ogni due anni affinché un colosso della logistica potesse fare utili e risparmiare 100 milioni l’anno almeno da 10 anni. Questo quadro da schiavismo del terzo millennio con lo sfruttamento di manodopera perlopiù straniera sottomessa e destinata ad accettare “qualsiasi situazione peggiorativa per il timore di perdere il lavoro”, come raccontato da una sindacalista, è contenuto in due provvedimenti del Tribunale di Milano con cui sono state sottoposte ad amministrazione giudiziaria la Brt, ex Bartolini, e la Geodis. E su cui la procura di Milano indaga da mesi: caporalato, frode fiscale, riciclaggio e autoriciclaggio in particolare per il titolare di fatto di alcune cooperative. I soldi non pagati ai lavoratori, all’erario con l’evasione di Iva e contribuiti, finivano sui suoi conti.

Il “nuovo potere” – Un’inchiesta enorme anche nei numeri se si pensa che la sola Brt si avvale di 2931 fornitori con una forza lavoro di 26.105 autisti. Ed è in forza anche di questi numeri e dello sfruttamento che per il Tribunale fa riferimento alla società “come una sorta di ‘nuovo potere‘, ufficioso ma molto effettivo, penetrante, opaco, vero regolatore dei processi lavorativi e alternativo allo Stato e dove le regole statuali a tutela del lavoro vengono sistematicamente pretermesse”. Un potere che deriva dal fatto di avvalersi di “serbatoi di personale”, di agevolare il caporalato e “non importa in questa sede se l’utilizzo avvenga con la piena consapevolezza di apicali di Brt spa). Secondo il Tribunale il problema per la società di logistica si pone sotto un profilo organizzativo: si tratta infatti di rimuovere quelle ‘situazioni tossiche‘ che hanno creato l’humus favorevole perché un ambito lavorativo si trasformasse, in fin dei conti, in occasione di riciclaggio e di arricchimento illecito, non potendosi certo pensare che il quadro delineato possa essere spiegato ‘facendo esclusivamente riferimento alla personalità perversa di singole persone’ (Braithwaite)”. Una situazione così grave che non “si può ragionevolmente pensare che il problema possa essere risolto solo rimuovendo le figure apicali di Brt, senza nulla mutare del sistema organizzativo; inalterata l’organizzazione, ‘i nuovi venuti’ si troverebbero nelle medesime condizioni (tossiche) dei loro predecessori e il sistema illecito sarebbe destinato a perpetuarsi. In altri termini ad una logica disposizionale, centrata sulla colpa della persona, è necessario sostituire (o comunque affiancare) una logica situazionale, che attribuisce rilevanza al contesto, che è fattore non certo indifferente nella genesi delle condotte umane”

“Politica di impresa diretta all’aumento del business”- L’amministrazione giudiziaria è resa necessaria proprio perché quello che emerge dalle indagini dalla Guardia di finanza “è che in Brt vi è una sorta di cultura di impresa, cioè un insieme di regole, un modo di gestire e di condurre l’azienda, un contesto ambientale intessuto di convenzioni anche tacite, radicate all’interno della struttura della persona giuridica, che hanno di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti. Nel corso delle indagini, infatti, si è disvelata una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business”. Non si tratta di singoli dipendenti che hanno violato le regole e le leggi che tutelano i lavoratori, “le condotte investigate non paiono frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di una illecita politica di impresa. Si dà vita, così, ad un processo di decoupling organizzativo (letteralmente: “disaccoppiamento”), in forza del quale, in parallelo alla struttura formale dell’organizzazione volta à rispettare le regole istituzionali, si sviluppa un’altra struttura, ‘informale’, volta a seguire le regole dell’efficienza e del risultato. In questo modo, la costante e sistematica violazione delle regole – scrive il Tribunale nel provvedimento – genera la normalizzazione della devianza, in un contesto dove le irregolarità e le pratiche illecite vengono accettate ed in qualche modo promosse, in quanto considerate normali”. Ed è così che è scattata di fatto, su proposta della procura di Milano, una “sorta di messa alla prova aziendale” e “una funzione temporanea di tutoraggio del consiglio di amministrazione della società”.