Mafie

‘Ndrangheta in Emilia, chiesto il processo per un avvocato che ha offeso un pentito in aula chiamandolo “finocchio”

Antonio Piccolo è accusato di intralcio alla giustizia e utilizzazione di segreto d’ufficio. A chiedere il suo rinvio a giudizio è la Procura di Reggio Emilia, che gli contesta le sue domande e le sue affermazioni pronunciate nel corso di due udienze del processo Grimilde nei confronti di Antonio Valerio, accusatore della cosca Sarcone/Grande Aracri

L’avvocato Antonio Piccolo del foro di Bologna, legale di alcuni imputati nei processi di mafia Aemilia e Grimilde, è accusato di intralcio alla giustizia e utilizzazione di segreto d’ufficio. A chiedere il suo rinvio a giudizio è la Procura di Reggio Emilia e l’udienza preliminare davanti al Gip si terrà nel mese di maggio. Il procuratore Gaetano Paci e la sostituta procuratrice Maria Rita Pantani contestano a Piccolo le sue domande e le sue affermazioni pronunciate nel corso di due udienze estive del processo Grimilde, il 27 giugno e il 4 luglio 2022. In Corte d’Assise a Reggio Emilia deponeva il collaboratore Antonio Valerio, spina nel fianco della cosca emiliana di ‘ndrangheta Sarcone/Grande Aracri. Nel controesame condotto dall’avvocato Piccolo, in difesa degli imputati Gaetano e Domenico Oppido, il dialogo degenerò ben presto in un botta e risposta in cui il vissuto dei due protagonisti, risalente agli anni Novanta quando Valerio era latitante in Romagna, prese il sopravvento con una buona dose di insulti e battute taglienti. Una breve sintesi rende l’idea.

Valerio: “Facciamo una cosa, parliamo uno scemo alla volta, sennò ca’ u ne capiscimu!”

Avv. Piccolo: “Lei ha ucciso delle persone, non le ho uccise io. Lei è un omicida”

Valerio: “Le sto pagando. Lei è stato in galera uguale a me, che siamo ex colleghi. Non che io sia un avvocato…”

Avv. Piccolo: “Ma sei un finocchio, sei

Valerio (rivolto a un imputato): “Cambia avvocato che ti conviene”

Avv. Piccolo: “Pezzo di caramella, che vuoi?

Ilfattoquotidiano.it fu l’unico organo di informazione a raccontare nel dettaglio quelle due udienze, con un articolo pubblicato nel settembre dell’anno scorso, mettendo in risalto le affermazioni dell’avvocato Piccolo che la Procura di Reggio Emilia ritiene prima di tutto non pertinenti all’oggetto della prova del processo Grimilde. Ma che avrebbero anche compromesso, cosa assai più grave, i profili di sicurezza del collaboratore di giustizia e dei suoi familiari. Profili che per la legislazione vigente neppure l’autorità giudiziaria è tenuta a conoscere.

Secondo quando ricostruito dall’ufficio di procura, “le affermazioni dell’avvocato sulla conoscenza delle generalità di copertura del collaboratore di giustizia, oltre ad integrare la violazione della fattispecie di utilizzazione di segreto d’ufficio, avevano anche l’effetto di intimidire il collaboratore inducendolo a temere per la sua sicurezza e per quella dei suoi familiari ed erano perciò idonee ad interferire sulla genuinità delle sue dichiarazioni”.

Cosa aveva detto Antonio Piccolo in quelle udienze? Il momento nevralgico è nello scambio di battute del 4 luglio, quando il legale rivolge a Valerio domande sulle sue attuali condizioni di vita. “Senta, lei è pagato dallo Stato? Quanto prende?”. Valerio aveva risposto: “Sì, 328 euro”. E l’avvocato: “Senta, lei oggi come si chiama? Ha cambiato cognome?”.

Il pubblico ministero aveva presentato un’immediata opposizione alla domanda e la presidente del Collegio giudicante Donatella Bove aveva richiamato l’avvocato: “C’è un programma di protezione, è un collaboratore. La domanda non è ammessa”. Ma l’avvocato aveva aggiunto una frase che aveva aggravato la situazione: “Non sappiamo come si chiama oggi (Valerio). Io penso però di saperlo…”. Il pubblico ministero, la sostituta procuratrice antimafia Beatrice Ronchi, era scattata sulla seggiola perché la nuova identità di Valerio nella vita privata è segreta. “Cosa significa che pensa di saperlo? Perché io non lo so”. A quel punto era intervenuta nuovamente la presidente Bove: “Lei ha detto: penso di saperlo. Perché?”. L’avvocato aveva risposto: “No, nella mia idea… io immagino, immagino, immagino. Ho fatto un sogno e mi sono dato una… (risposta)”.

Valerio aveva commentato: “Minchia, che sicurezza che abbiamo qua. Allora, io sono terrorizzato. Mi viene la pelle d’oca, perché è chiaro i messaggi che mi state mandando. Benissimo, ottimo. Penso a mia figlia minorenne, e sono terrorizzato”. In seguito a questi fatti il servizio centrale di protezione ha dovuto modificare il dispositivo di protezione di Antonio Valerio, per tutelare l’incolumità del collaboratore e della sua famiglia. Il 18 maggio prossimo il Giudice per le Indagini Preliminari si pronuncerà sulla richiesta di rinvio a giudizio per l’avvocato bolognese.