Cultura

“Così ho salvato le lettere di Michelangelo: e alla fine mi ha fatto ridere”: parla Antonella Brogi, la restauratrice degli scritti del genio fiorentino

La studiosa è stata incaricata dell'operazione di conservazione e digitalizzazione di una parte del grande patrimonio di carte conservate a Casa Buonarroti, a Firenze: contratti, lettere ricevute, minute delle lettere inviate, bozze di poesie, conti della spesa.

All’inizio non ci pensi. Finché non inizi l’intervento di restauro, non consideri di avere tra le mani delle lettere scritte di suo pugno da Michelangelo Buonarroti. Poi però, a lavoro finito, te le godi, soprattutto quando vedi il risultato. E allora sorridi, tiri un sospiro di sollievo e vai avanti spedita. E poi confesso di aver letto qualche lettera e alla fine… Sì, Michelangelo mi fa ridere. È anche simpatico quando scrive“. Antonella Brogi, da Radda in Chianti, è la restauratrice che per due anni si è occupata del restauro di 342 lettere di Michelangelo, oggi conservate nell’archivio di Casa Buonarroti a Firenze. Grazie al contributo di Ente Cambiano, qualche settimana prima dello scoppio della pandemia di Covid, prese il via la delicata operazione di messa in sicurezza, restauro e digitalizzazione di una parte dell’ingente patrimonio di carte conservate in via Ghibellina, a due passi da Piazza Santa Croce.

Si tratta di documenti molto importanti grazie ai quali sappiamo molto dell’artista: nessuno tra gli artisti del Rinascimento ci è tanto noto e familiare come Michelangelo. Sappiamo cosa mangiava, come si curava, quanto spendeva per gli abiti, in che rapporti era con i propri familiari; allo stesso tempo possiamo anche seguirlo nei suoi momenti di meditazione, nei suoi slanci di generosità, nei suoi eccessi d’ira, nelle sue paure.

Tutto ciò lo sappiamo grazie alla spiccata attitudine di Michelangelo alla conservazione, quasi maniacale, di ogni documento che riguardasse la sua quotidianità: contratti, lettere ricevute, minute delle lettere inviate, bozze di poesie, conti della spesa. L’enorme mole di carte da lui raccolte nel corso della lunga vita fu devotamente custodita dai suoi discendenti, andando a costituire il nucleo fondamentale dell’archivio familiare, che lungo i secoli si accrebbe con documenti di altri membri, fino ad arrivare alla notevole consistenza di 169 volumi e oltre 25mila carte.

Una delle sezioni più preziose dell’archivio è indubbiamente costituita dalle lettere di sua mano, sia minute di missive ai personaggi più vari del suo tempo: da papa Clemente VII (che era sì un Medici, ma lo protesse chiamandolo a Roma a realizzare Il Giudizio Universale nella Cappella Sistina) a Caterina de’ Medici, dalla poetessa Vittoria Colonna allo storico Benedetto Varchi, dal pittore Sebastiano del Piombo a Giorgio Vasari. Una parte di queste carte aveva necessità di cure urgenti e per questo è stato messo a punto il progetto che ha previsto il restauro, il condizionamento e la documentazione fotografica digitale in alta definizione di 342 lettere costituenti i volumi IV e V dell’Archivio Buonarroti.

Il delicato intervento è stato affidato ad Antonella Brogi: “I documenti erano conservati all’interno di legature in tutta pelle – spiega la restauratrice – che a quel tempo erano volumi importanti. All’inizio del Novecento, per tenerli tutti insieme, furono rilegati dai tecnici del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi in volumi con una coperta in pelle di pregio; i volumi erano costituiti da carte bianche dove ogni lettera era incollata lungo il margine laterale destro direttamente o tramite delle brachette. Si trattò di un tipo di conservazione che oggi non è più ritenuta idonea perché le carte dei volumi erano acide, perché il collante utilizzato era a base di amido che aveva ingiallito la carta. Per cui si è reso necessario staccare i documenti dalle carte bianche e conservarle all’interno di cartelline a ph neutro e dentro scatole per la conservazione. I volumi presentavano uno stato di conservazione pressoché uniforme: alcuni avevano un ph, cioè un livello di acidità, non consono alla conservazione, perciò è stato ristabilito; altri erano danneggiati da vecchi interventi di restauro che nel passato si ritenevano idonei, ma oggi, per scelta di materiali etc non lo possono essere più, per cui là dove è stato necessario e possibile queste sostanze nocive sono state rimosse, in altre situazioni invece abbiamo cercato soluzioni meno invasive. Il tutto si è svolto sotto il controllo della Soprintendenza archivista della Toscana – ha proseguito Brogi – e con la vicinanza stretta del direttore dell’istituzione, Alessandro Cecchi. Il lavoro si è svolto all’interno del caveau di Casa Buonarroti ed è sempre stato emozionante. Nonostante sia stato approntato un progetto generale, ogni documento è stato comunque trattato a sé, ogni intervento è stato ponderato sulla singola lettera, sul singolo stato di conservazione”.

E il risultato? “Purtroppo la maggior parte dei sigilli delle singole lettere sono andati persi perché essendo state rilegate in volume – ha spiegato la restauratrice – La parte della lettera vicina alla costola flette un poco e questo ha rovinato numerosi sigilli. Per il resto, lo stato di conservazione era buono; ho verificato alcuni indebolimenti delle fibre lungo le piegature, alcuni inchiostri aveva perforato il supporto cartaceo per l’acidità per cui questi documenti sono stati sottoposti a interventi di deacidificazione; i margini sono stati tutti risanati. Devo ammettere che in alcuni momenti mi tremavano le mani, perché quando si lavora su simili oggetti, qualsiasi decisione va ben ponderata. Si è comunque puntato al minimo intervento, perché nel restauro, si sa, meno si interviene e meno danno si fa. Tutti le numerazioni di vecchie catalogazioni sono rimaste ben visibili. Adesso le lettere sono condizionate all’interno di cartelline a ph neutro, pronte per essere sfilate, se dovessero essere esposte. Le singole cartelline sono ordinatamente raggruppate dentro scatole per conservazione, con una legenda ben chiara, così come anche i volumi, che oggi sono solo una raccolta di fogli bianchi, sono oggi conservati dentro scatole ad hoc”.

Molto soddisfatta dell’operazione anche Cristina Acidini, presidente di Casa Buonarroti: “È stata una decisione benemerita – ha affermato – perché le fragili carte erano danneggiate a causa dell’inchiostro metallo-gallico. E poi è stata molto importante la digitalizzazione dei documenti per poterli vedere anche da un punto di vista grafico, per poter osservare la grafia di Michelangelo che con l’età cambiava: indecisa all’inizio, ferma sicura in età matura, tremolante in vecchiaia”. Ancora per qualche secolo, quindi, il patrimonio cartaceo di Michelangelo è decisamente al sicuro.