Politica

Decreto Migranti, il governo dà il via libera alle nuove norme da Cutro tra tensioni interne e coi giornalisti: “Risposte sul naufragio chiare”

Licenziato il provvedimento e la presidente del Consiglio blinda pubblicamente Piantedosi e liquida il caso del coinvolgimento della Marina militare nella sorveglianza marittima - che ha provocato attriti con la Lega - come una proposta inserita nella bozza e poi auto-ritirata dal suo fedelissimo Crosetto. Ma a tenere banco nella conferenza stampa dopo l'approvazione è ancora la catena di comando nella notte del naufragio

Nervosismo di fronte alle domande dei giornalisti sulle responsabilità del naufragio, assoluzione per Matteo Piantedosi, che “non poteva fare di più”. Questi due elementi sono la sintesi dell’intervento di Giorgia Meloni in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri che si è tenuto a Cutro, città del naufragio del 26 febbraio con 72 morti accertati: “Il governo ha voluto dare un segnale concreto”, ha detto la premier. Al punto stampa hanno partecipato anche i ministri Tajani, Nordio, Lollobrigida e Salvini, con il leader leghista che ha fatto un vero e proprio comizio, tra rivendicazioni dei risultati dei suoi decreti Sicurezza e accuse a chi – sulle responsabilità dei mancati soccorsi – continua a porre gli stessi interrogativi da 12 giorni, senza sostanzialmente trovare risposta. Perché mentre Meloni e tutto il governo la mettono sotto il profilo del dolo, con quel “volutamente” ribadito a ogni pie’ sospinto, la questione investe più che altro aspetti che riguardano le eventuali colpe e responsabilità politiche di una strage. Che sono ancora lì, appesi, nel giorno in cui il governo approva il nuovo decreto Migranti e la premier liquida il caso del coinvolgimento della Marina militare nella sorveglianza marittima – che ha provocato attriti con la Lega – come una proposta inserita nella bozza e poi auto-ritirata dal suo fedelissimo Guido Crosetto. Un caso che probabilmente rientra tra le cause del clima interno al governo, che appare tutt’altro che disteso. A tenere banco nella conferenza stampa, in ogni caso, è ancora la ricostruzione delle sei ore tra l’alert di Frontex e l’impatto del barcone carico di migranti contro la secca a pochi metri dalla riva.

L’esecutivo torna da Cutro – dove un gruppo di contestatori ha accolto i ministri con un lancio di peluche e scritte sui muri, prontamente cancellate – con un decreto che per Meloni dà “il messaggio che in Italia non conviene entrare illegalmente, non conviene pagare gli scafisti, non conviene rischiare di morire”. Immancabile il nuovo richiamo all’Europa “per chiedere azioni concrete immediate”, con un coinvolgimento che il ministro degli Esteri Antonio Tajani immagina arrivi fino alle Nazioni Unite. Poi ci sono gli aspetti concreti: inasprimento delle pene per gli scafisti, l’allargamento dei flussi dai Paesi che “collaborano”, con strumenti tutti da costruire e che al momento appaiono almeno fumosi, una sburocratizzazione nella richiesta dei permessi di soggiorno e le “corsie preferenziali per gli stranieri che in patria hanno fatto corsi di formazione riconosciuti dal governo italiano”, oltre a un ruolo più centrale dei Cpr per chi viene ritenuto irregolare. E poi qualche slogan che sa di propaganda: “Il nostro vero obiettivo? Cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo, perché vogliamo rompere questa tratta”.

Come già avvenuto con il decreto Rave, anche in questo caso il governo sceglie di gestire l’emozione pubblica con una decretazione d’urgenza che poi sarà tutta da costruire nei fatti. Le nuove norme – alle quali “stavamo già lavorando”, assicura Salvini – sono state accelerate per rispondere alle polemiche seguite al naufragio del 26 febbraio nel tentativo di parare il governo dal fuoco incrociato delle opposizioni, che continuano a chiedere di fornire risposte chiare su alcuni aspetti cruciali di quella notte legati a una possibile sottovalutazione della segnalazione di Frontex. Un nodo che non viene sciolto neanche dopo il Consiglio dei ministri. Anzi. È proprio di fronte ai giornalisti che Meloni e i ministri seduti al suo fianco appaiono nervosi, punti nel vivo dalle domande che continuano a essere sempre le stesse, perché nessuno è in grado di chiarirle in maniera definitiva.

L’imbarcazione, torna a ripetere Meloni, “ha navigato per tre giorni senza avere nessun problema, è arrivata davanti alle coste calabresi, erano a 40 metri”. La navigazione “è andata senza problemi, quando hanno atteso al largo di notte il momento più propizio per sbarcare e non essere intercettati dalle forze dell’ordine, in quel frangente di attesa c’è un incidente: si incagliano, la barca è inadeguata per il viaggio, e succede il peggio”. La segnalazione che fa Frontex, aggiunge è “di polizia, non di salvataggio”. E sottolinea: “Tanto che l’aereo di Frontex se ne va. Questi sono i fatti”. Una ricostruzione falsa, almeno sul motivo del velivolo Eagle 1 dell’Agenzia europea per la difesa dei confini che si è allontanato – è noto da giorni – perché stava finendo il carburante. La presidente del Consiglio – che non ha visitato i parenti delle vittime, ripartendo subito per Roma ma promettendo di invitarli a Palazzo Chigi – butta lì anche un interrogativo sibillino: “Perché la segnalazione arriva solo quando è in acque italiane? Non lo so”. E sulle modalità d’intervento, di fronte alle resistenze dei cronisti a chiudere la questione dopo l’informativa di Piantedosi al Parlamento, replica: “È ovvio che bisogna porsi le domande, ma le risposte sono state chiare”. Almeno per gli standard dell’esecutivo.