Mafie

Messina Denaro, i retroscena dell’arresto: dal blitz fallito (col carabiniere travestito da medico) al pizzino nascosto dalla sorella

Più di due anni prima del blitz alla clinica La Maddalena, gli inquirenti avevano tentato un altro blitz in un’altra struttura sanitaria: al Neurolesi di Messina il 28 novembre del 2019. Era stato un buco nell'acqua. Ma la pista sanitaria era esatta: e infatti è grazie al pizzino, con annotate date e patologie, trovato in casa di Rosalia Messina Denaro se è la latitanza del boss delle stragi è stato interrotto

Rosalia Messina Denaro stira, cucina, sistema. Una normale attività da casalinga se non fosse che a un certo punto interrompe tutto, si piega e armeggia con una sedia. Fa qualcosa col piede di quella sedia. È la stessa sedia in cui gli uomini del Ros, tenteranno di piazzare una microspia. È il 6 dicembre, i militari si concentrano sulla sedia, tolgono il tappo che chiude il tubolare del piede e lì dentro, arrotolato, trovano il pizzino dove la sorella di Matteo Messina Denaro ha annotato date e patologie. Sembra una cartella clinica scritta a mano. È il pizzino che permetterà agli agenti del Ros di svolgere le indagini finali che metteranno fine a trent’anni di latitanza del boss delle stragi.

Un arresto clamoroso al quale, secondo gli investigatori, collaborano vari fattori. Intanto le indagini che vanno avanti da tempo: tutte le inchieste che in 15 anni circa hanno portato in carcere la rete di fiancheggiatori, indebolendo la protezione del boss. Poi la malattia che ha portato U Siccu e i suoi familiari ad abbassare il livello di guardia. Un esempio? Quello raccontato dal fattoquotidiano.it nei giorni scorsi. E’ il 18 maggio dell’anno scorso quando gli investigatori vedono Rosalia Messina Denaro sedersi sul ciglio di uno scalino nella sua casa di campagna in contrada Strasatto-Paratore, a Castelvetrano. Qualcosa la turba. Appoggia la mano sulla fronte, appare sconsolata. E probabilmente non a caso: nel pizzino nascosto nella sedia di casa sua quella è una data chiave: “Dopo il 18 maggio senza forze”, si legge. Il tumore che il boss aveva combattuto con due operazioni e con sessioni di chemio era tornato, segno di un’aggressività che non lascia scampo. Per questo motivo, dopo il ritrovamento del pizzino, le indagini degli agenti del Ros si intensificano. Negli anni precedenti, infatti, erano state tante le segnalazioni che avevano fatto pensare che Messina Denaro soffrisse di una patologia. Ai reni, secondo una prima ipotesi. Più di due anni prima del blitz alla clinica La Maddalena, gli inquirenti avevano tentato un altro blitz in un’altra struttura sanitaria: al Neurolesi di Messina il 28 novembre del 2019. Quel giorno è un ufficiale del Ros a celare la sua identità: veste un camice bianco, uno stetoscopio al collo e una microcamera nascosta. Si finge medico per poter riprendere e verificare l’identità di un paziente di Castelvetrano arrivato per alcune cure nel centro messinese. La soffiata si rivelerà un buco nell’acqua.

Eppure, solo pochi mesi dopo, nel luglio del 2020, Messina Denaro acquisirà l’identità di Andrea Bonafede per potere accedere alle cure. Le date sono segnate tutte in quel pizzino “clinico” della sorella. Il 3 novembre del 2020 si sottopone a una colonscopia a Castelvetrano e scopre di avere un tumore: a quel punto passeranno solo 6 giorni per il ricovero e dieci per l’intervento. Il 4 maggio del 2021 l’intervento al fegato per le metastasi a la Maddalena di Palermo. Il 6 luglio il tumore però è tornato in 3 punti – scrive la sorella del boss – fa 3 cicli di chemio, il tumore si riduce. Nel gennaio del 2022 altra tac, se il tumore risulta ridotto saranno ridotti anche i livelli della chemio. Ma dopo il 18 maggio è chiaro che il tumore è troppo aggressivo. I Messina Denaro sono dunque in fibrillazione. Lo sconforto li porta a cedere. Gli investigatori notano il cambiamento, trovano il pizzino il 6 dicembre, lo fotografano e lo studiano. Si consultano con medici specialisti, per sicurezza li cercano lontano dalla Sicilia. Sono loro a rivelare che esiste una banca dati, precisamente lo Sdo, acronimo di “Scheda di dimissioni ospedaliera”: lì sono annotati gli ingressi e le uscite di tutti i pazienti italiani. A quel punto accedono al sistema e scommettono sulla banca dati dei ricoveri in Sicilia. È un azzardo: Messina Denaro, per quanto ne sanno, in quel momento potrebbe anche aver fatto come Bernardo Provenzano, facendosi curare a Marsiglia. Ci provano lo stesso. Riducendo il campo alla Sicilia, inseriscono le informazioni del pizzino “clinico” di Rosalia. Se avessero inserito soltanto una data sarebbe stato lo stesso come cercare un ago in un pagliaio. Le date però sono tante, dal primo intervento del novembre 2020 al secondo nel maggio 2021 fino alla data dell’ultima tac.

Le ricerche durano giorni e il cerchio si restringe sempre di più, prima su un centinaio di pazienti, poi su 40. Quindi la svolta la danno due indizi decisivi. Il primo è a Campobello di Mazara, il paesino di 11mila abitanti, alle porte di Castelvetrano, dove U Siccu si nascondeva, è un luogo dove è difficile fare appostamenti. Tutti si conoscono e qualsiasi autovettura nuova che entra nel centro abitato viene notata. Per monitorare il paese dove risiede il fratello del boss, Salvatore Messina Denaro, ci sono una serie di telecamere piazzate nelle tante stradine che scandiscono l’urbanistica del paesino trapanese. Una di queste riprende il vero Andrea Bonafede proprio in una delle date riportate nel pizzino della sorella e confermata dal database. Il 4 maggio 2021, infatti, Bonafede risulta sotto i ferri a La Maddalena. Ma le telecamere piazzate a Campobello di Mazara lo riprendono invece mentre passeggia per le strade del paese. Chi era dunque a essere operato a Palermo? Da quel momento gli investigatori sono certi che qualcuno usa l’identità di Bonafede. Che si tratti di Messina Denaro lo capiscono pochi giorni prima dell’arresto, perché Bonafede si sottopone a una visita oculistica: strabismo all’occhio sinistro, proprio come il boss delle stragi. L’11 gennaio i militari si presentano in procura con il materiale acquisito: da lì partirà la pianificazione dell’arresto.

Il 16 gennaio è prevista la nuova sessione di chemio. Dalle sette del mattino carabinieri in borghese si piazzano nei corridoi de La Maddalena. Si scambiano informazioni in tempo reale. Non sanno che aspetto abbia davvero il boss: alcuni dei pazienti presenti – noteranno dopo – somigliano parecchio all’identikit del vero Messina Denaro. Per questo gli inquirenti aspettano che il boss prenoti il suo tampone. Sono momenti di incertezza e di attesa fino a quando arriva il via libera: Bonafede si è sottoposto al tampone, il comandante del Ros, Lucio Arcidiacono, in quel momento su una delle camionette all’esterno della clinica, dà il via alla cattura. Il Gis, il Gruppo di intervento speciale, serra i reparti, blocca gli ascensori, di fatto militarizzala clinica. Ma di Bonafede/Messina Denaro non c’è traccia. In quel momento l’operazione sembra andare verso l’ennesimo fallimento. Cosa succede a quel punto? Pare che Messina Denaro avesse una consuetudine quando si recava alla clinica: attendeva l’esito del tampone andando al bar. I militari vagliano in tempo record le immagini di ingresso dei pazienti. Riescono a rintracciare una sua immagine e a trasmetterla a tutti gli agenti che avevano circondato La Maddalena. Viene così scovato dentro l’auto, una Fiat Bravo bianca, in via Domenico Lo Faso, pochi metri dalla clinica: l’ipotesi è che Messina Denaro avesse notato le cinturazioni intorno a La Maddalena e stesse tentando una fuga. Ma i trent’anni della sua latitanza erano ormai alla fine. Complice il tumore, i pizzini e le tante operazioni precedenti.