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Venezuela, dopo 7 anni di recessione torna la crescita economica. Ma le blande liberalizzazioni aumentano le diseguaglianze

Il Prodotto interno lordo del Venezuela è cresciuto del 17,7% nel corso del 2022, un dato sorprendente se si tiene conto del fatto che la nazione latinoamericana è reduce da sette anni di una devastante crisi economica. La Reuters riferisce che la modesta liberalizzazione del settore privato iniziata nel 2019 ed il conseguente afflusso di valuta estera avrebbero aiutato alcuni comparti industriali a riprendersi sebbene il quadro complessivo rimanga preoccupante. Il tasso di inflazione è ancora alto ed oscilla intorno al 37%, le aziende statali dipendono dalla valuta estera per i pagamenti dei fornitori e cessano di erogarli quando si esaurisce mentre la maggior parte della popolazione fatica ad acquistare cibo e beni di prima necessità. La banca centrale venezuelana ha ricominciato a pubblicare i dati in maniera più esaustiva ma ancora insufficiente.

La modesta liberalizzazione economica, secondo l’economista venezuelano Omar Zambrano sentito dal sito Foreign Policy, avrebbe dato origine “a fortissime diseguaglianze” che rendono i poveri sempre più poveri. Il sondaggio nazionale sulle condizioni di vita, realizzato dall’Università Cattolica Andrés Bello e considerato un censimento ufficiale a causa del collasso del sistema statistico, ha evidenziato che il Venezuela è la nazione più ineguale dell’America Latina dove i ricchi guadagnano 70 volte più dei meno abbienti. I salari, come quello di un professore universitario che percepisce 70 dollari al mese, sono pagati nella debole valuta nazionale. Il numero di famiglie con un reddito sotto alla soglia di povertà si è ridotto passando dal 90% del 2021 all’81% del 2022 ma l’indigenza per cause sociali è cresciuta nello stesso arco temporale. Luís Leon, economista e presidente della società demoscopica Datanalisis, ha dichiarato alla Bbc che la ripresa, seppur notevole, non coinvolge tutti. “La crescita si è concentrata” ha spiegato Leon “in settori come il commercio, i servizi, l’ambito tecnologico ma altri sono rimasti indietro e lo stesso vale per classi sociali e regioni”. A sostenere la tesi ci sono le voci di alcuni cittadini sentiti dalla testata britannica. Tra questi c’è Maria Cayone, con sei figli a carico, che guadagna un piccolo salario vendendo cibo. Secondo lei “la situazione non è migliorata” e le persone della sua città “si sono affidate all’economia informale”. Miguel Angel García, un ex autista che percepisce una pensione di 6 dollari al mese, la pensa allo stesso modo. Luís Leon ha spiegato che occorreranno “20 anni di crescita sostenuta (+346%) per riportare l’economia ai livelli del 2013”.

Il Venezuela è sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti da oltre quindici anni e queste misure, secondo molti osservatori, hanno provocato il collasso economico del Paese. Le prime sanzioni sono state imposte dall’amministrazione Bush. L’amministrazione Obama ha varato nuove misure dopo la crisi del 2014 ma il vero cambiamento si è registrato sotto Donald Trump. L’ex presidente ha imposto sanzioni molto dure con lo scopo di provocare il collasso del governo Maduro. Tra queste la chiusura del sistema finanziario americano al Venezuela, il divieto per cittadini ed aziende di acquistare debito venezuelano ed il blocco delle esportazioni petrolifere della compagnia statale Pvdsa verso gli Stati Uniti, principale acquirente del greggio di Caracas. Negli ultimi mesi si è registrato un riavvicinamento tra Stati Uniti e Venezuela dopo l’apertura di colloqui tra l’esecutivo Maduro e l’opposizione a Città del Messico. Le enormi risorse petrolifere di Caracas sono tornate a fare gola in un momento di crisi determinato dalla guerra in Ucraina e Washington ha deciso di autorizzare la compagnia Chevron a riprenderne le proprie attivano in Venezuela in cambio dell’impegno al dialogo politico da parte di Caracas.

L’instabilità economico-politica ed una grave crisi umanitaria hanno costretto oltre 6 milioni di venezuelani, a partire dal 2014, a lasciare il proprio Paese per trovare rifugio all’estero. La seconda più grave crisi migratoria al mondo dopo quella della Siria ha provocato e sta provocando enormi sofferenze alla popolazione. I Paesi che hanno accolto più venezuelani in fuga, facendosi carico di grandi sforzi economici e con una modesta assistenza internazionale, sono stati quelli dell’America Latina. Riccardo Hausmann, professore presso la Kennedy School dell’Università di Harvard e direttore del Growth Lab, ha dichiarato a Forbes che la situazione umanitaria di Caracas va contestualizzata affinché gli Stati Uniti possano lanciare politiche di accoglienza efficaci. “ Il Venezuela è un caso unico al mondo di catastrofe economica in tempo di pace” ha spiegato Haussman “perché il declino del Prodotto interno lordo è stato quasi il triplo di quello registrato negli Stati Uniti durante la Grande depressione”. I gravi problemi non hanno prodotto un cambiamento, nonostante la vittoria schiacciante delle opposizioni alle elezioni del 2015, perché il governo ha cambiato le regole del gioco privando l’Assemblea nazionale dei poteri ed inficiando il lavoro della Corte Suprema. La mancanza di cambiamento ha dato così il via alle migrazioni.