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Terremoto Turchia e Siria, neonato di 2 mesi e bimba di 2 anni estratti vivi dopo oltre 120 ore. “Messaggi da tutto il mondo per adottare Aya”

A quasi 130 ore dal sisma, i soccorritori tirano ancora fuori dalle macerie dei giovani sopravvissuti. Intanto all'ospedale di Afrin, dove è ricoverata la piccola Aya - la neonata rimasta viva sotto le macerie perché ancora attaccata alla madre morta con il cordone ombelicale - arrivano centinaia di messaggi: "Questa bambina è un miracolo, le persone vogliono prendersi cura di lei"

Tra le tante storie di dolore e morte che provengono dalla Turchia e dalla Siria, sconvolte dal terribile terremoto del 6 febbraio, ci sono anche delle straordinarie eccezioni: i soccorsi hanno salvato un neonato di due mesi, sopravvissuto per 128 ore sotto le macerie. Il bimbo è stato ritrovato nel distretto di Alessandretta, nella provincia turca di Hatay. Nella stessa zona, 60 chilometri più a sud, ad Antiochia, è stata estratta viva anche una bambina di due anni: la piccola era rimasta intrappolata per 122 ore sotto i resti della casa dove viveva con la sua famiglia. Nessuno dei suoi parenti è sopravvissuto.

Una storia tragicamente simile a quella di Aya: è stata ribattezzata così, con un nome che in arabo vuol dire “miracolo”, la neonata estratta viva dalle macerie di un palazzo di quattro piani a Jindires, in Siria. Ritrovata ancora attaccata alla madre morta tramite il cordone ombelicale, Aya è l’unica sopravvissuta della sua famiglia e ora, da tutto il mondo, arrivano messaggi di persone disposte ad adottarla. La piccola è ricoverata ad Afrin, in condizioni stabili. Il direttore dell’ospedale, Khalid Attiahha, che ha una figlia di quattro mesi più grande di Aya, ha dichiarato che non accetterà nessuna delle richieste di adozione che gli sono state fatte per telefono: “Fino al ritorno di suoi lontani parenti, la tratterò come una della mia famiglia”. Il dottore non mentiva: sua moglie, oltre ad allattare la loro bambina, adesso si prende cura anche di Aya.

L’enormità della catastrofe, oltre che dal numero delle vittime – che continua a crescere e che ora ha superato le 25mila – è ben rappresentata da quanto sta accadendo a Nurdagi, in Turchia, dove non c’è più posto, e neanche tempo, per seppellire i cadaveri, ammassati sui camion e in fosse senza nome. Stesso scenario ad Afrin. Ma nonostante le ore passino e le speranze di trovare qualcuno ancora vivo vadano via via scemando, i soccorritori continuano a compiere qualche “miracolo”.