Società

Il terremoto ci ricorda che l’umanità è fragile. Ma a volte non basta nemmeno quello

Occorre un disastro incontrollabile per ricordare agli uomini, bestie poco lungimiranti e stolte, di essere in questa esistenza come piccole barchette in un mare oscuro, che senza motivo né preavviso può farsi tempestoso e mortale.

Il buonsenso suggerirebbe di perseguire tutte le occasioni di cooperazione e alleanza, mentre la triste realtà ci squaderna in pieno viso degli individui che non perdono occasione per competere e farsi la guerra. Ciò fino al cataclisma di turno, come è successo in questi giorni col devastante terremoto che ha colpito Turchia e Siria. Ecco, allora, i giornali che ci raccontano di un’improvvisa collaborazione fra eserciti e popolazioni fino a ieri nemiche, per soccorrere le vittime intrappolate sotto i detriti. Perfino lo stato di Israele si offre di mandare aiuti in Siria, mentre (sia detto per inciso) ancora assistiamo alla vergogna dell’Onu che si è guardata bene – almeno nel momento in cui scrivo – di togliere le sanzioni che stanno colpendo popolazioni martoriate.

Sì, ci vuole un terremoto – l’evento più devastante e incontrollabile anche per un’umanità scientificamente avanzatissima – per ricordare alla bestia stolta che basta un capriccio del destino, un lieve scostamento rispetto ai movimenti secolari del pianeta (due centimetri più vicini o più lontani dal sole), perché tutta l’umanità si estingua sotto le macerie oppure a causa del clima improvvisamente incandescente o glaciale.

Mentre ci ritroviamo sempre più massificati e instupiditi – con alcuni degli intellettuali più in vista intenti a decidere se boicottare o meno il festival di Sanremo (…) – mentre passiamo il nostro tempo a postare foto ritoccate di noi stessi o commenti aggressivi su argomenti che non conosciamo, con il teatrino mediatico che ci fa dividere sulla stupidaggine proferita da questo o quell’altro “influencer”, questo o quell’altro saltimbanco di una politica che non sa più occuparsi dei problemi concreti delle persone, un terremoto dovrebbe rivelarsi come una doccia gelata sulla sbornia della nostra vanità e stoltezza.

Dovrebbe farci riscoprire la differenza essenziale fra il superfluo e ciò che vale, come accadde all’animo di Voltaire e Goethe in seguito al devastante terremoto che rase al suolo Lisbona il 1 novembre 1755. Il filosofo francese velò di ironia la propria angoscia per quell’evento che lo aveva dilaniato, scrivendo che: “Grande sarà l’imbarazzo di chi vorrà capire come le leggi del movimento producano disastri così spaventosi nel migliore dei mondi possibili”. Per poi aggiungere, in un poema specificamente dedicato al disastro di Lisbona: “Questo mondo, questo teatro di orgoglio e di errore è pieno di sventurati che parlano di felicità”. Anche il grande letterato tedesco ne rimase sconvolto, parlando di una natura che ovunque impone la sua “sfrenata tirannia”: “Dio, creatore della terra e dei cieli, condanna in tal modo all’annientamento sia i giusti che gli ingiusti. Come poteva difendersi da questi dubbi l’animo di un ragazzo, se perfino i dotti e gli esperti delle Scritture non sapevano come spiegare queste atroci vicende?!”.

D’accordo, la maggior parte degli uomini non ha la sensibilità di Goethe e Voltaire, tanto da aver fatto di tutto nel corso della Storia pur di rimuovere questa condizione di precaria fragilità che ci accomuna e, piuttosto, entrare in conflitto armato alla prima occasione. Quand’ero bambino e imperversava la Guerra fredda, immaginavo che arrivassero degli alieni aggressivi, perché almeno in quel caso americani e sovietici si sarebbero uniti per difendere le sorti dell’umanità. Oppure mi piaceva leggere quelle storie di soldati al fronte che, durante un Natale della prima guerra mondiale, avevano interrotto le ostilità per scambiarsi doni, commemorare i rispettivi morti, cantare insieme e qualche volta improvvisare partite di pallone.

Sogni di un bambino, appunto. Mentre l’adulto ha dovuto imparare, con Kant, che “l’uomo è fatto in modo tale da vedersi volentieri come il solo fine della costruzione divina”, quasi che Dio non avesse altro di mira che il benessere e la gloria degli umani. Così ci comportiamo, come se tutto ci fosse dovuto e consentito, come se la Signora di nero vestita dovesse sempre andare a suonare il campanello di qualcun altro. Nessun terremoto ci distoglierà da tale funesta illusione.

E anche questo sarà stato l’ennesimo post inutile. Non solo perché ho scritto delle ovvietà per giunta inutili, ma perché la Storia ci insegna che da questo orecchio la bestia stolta non intende sentire.