Diritti

Giovani che odiano i disabili: il fallimento dell’educazione civica raccontato in numeri

Nei giorni scorsi è stato presentata la settima edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza – Università di Roma e IT’STIME dell’Università Cattolica di Milano. Si tratta di dati sconcertanti che purtroppo tra la notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro, la guerra e altro sono passati in sordina, ma che devono far riflettere soprattutto chi svolge un ruolo educativo.

Da gennaio a ottobre 2022 sono stati estratti 629.151 tweet dei quali 583.067 negativi (il 93% circa vs. 7% positivi). Nel 2022 al primo posto svettano le donne (43,21%) seguite da persone con disabilità (33,95%), persone omosessuali (8,78%), migranti (7,33%), ebrei (6,58%) e islamici (0,15%). Ciò che mi sconvolge è il dato di chi odia i disabili.

“Vanno a tal proposito sottolineati due elementi. Il primo. Lo hate speech – spiegano i ricercatori – contro le persone con disabilità si configura come una vera e propria intolleranza che coinvolge sempre più giovani e sempre più l’ambito scolastico sconfinando anche in atti di bullismo. E due, la rilevanza del fenomeno, come evidenziata dalla Mappa, ci parla anche di una distorsione lessicale: l’uso del linguaggio offensivo contro le persone con disabilità si è andato via via allargando ampliando sia il suo utilizzo originario sia il suo significato, più ampio e meno specifico”. Contro le persone con disabilità, il picco di avversione è stato in concomitanza con un’omelia di papa Francesco che invitava a considerare la disabilità una sfida per costruire insieme una società più inclusiva. E in seguito alla notizia di un taxista veronese rifiutatosi di prendere a bordo un disabile.

Non può passare inosservato il rilievo fatto da Vox sulla scuola. Se la “febbre” è così alta allora qualcosa non sta funzionando. In questi anni ci siamo riempiti la bocca della parola educazione civica trasformandola in una materia con voto spalmata in 33 ore annue trasversali. Uno specchio per allodole perché la questione non è “obbligare” i docenti a fare educazione civica, ma è quale e come viene fatta. Educazione civica in realtà dovrebbe essere ogni minuto d’insegnamento.

E’ educazione civica quando uscendo in paese ti fermi a raccogliere una cartaccia a terra per buttarla in giardino; quando ti fermi davanti alla piazza dedicata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a fare una riflessione; quando porti in classe un musicista cieco; quando apri l’anno scolastico facendo un collegamento online con una scuola ucraina; quando scrivi una lettera al sindaco; quando apri il giornale ogni giorno in aula; quando spieghi perché il maestro domani è casa per scioperare contro l’invalsi. Evidentemente non è così.

Lo dice meglio di me Umberto Ambrosoli nel libro Qualunque cosa succeda dedicato a suo padre Giorgio: “E’ ovvio che se sono necessari i depuratori è perché l’acqua è sporca e, dunque, c’è chi la inquina, ma lei (sua madre ndr) più che sulla scelleratezza di chi appesta le acque ha sempre voluto mettere l’accento sul fatto che il fiume può essere depurato: e quindi bisogna sforzarsi di farlo”. Proprio così: quella percentuali di odiatori sono coloro che inquinano l’acqua, ma a scuola mancano i depuratori.