Diritti

Marcello Pezzetti, lo storico dei film da Oscar: “La mia prima volta ad Auschwitz 50 anni fa. E non ne sono più uscito: la mia ricerca non è ancora finita”

Intervista a uno dei massimi studiosi della Shoah, consulente per Spielberg e Benigni per "Schindler's List" e "La vita è bella". E' grazie a lui che Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute all'orrore dei lager, sono tornate nel campo di sterminio. "Il lavoro sull'Olocausto non è ancora finito, ce n'è ancora tantissimo da fare sui processi ai persecutori, sul numero di vittime, sui treni partiti dall'Italia. Un esempio? Due anni fa abbiamo scoperto che le donne deportate erano molte di più di quante si pensava"

Marcello Pezzetti è senza dubbio uno dei più importanti studiosi della Shoah. E’ stato consulente di due film premi Oscar, di Schindler’s List di Steven Spielberg e (con Shlomo Venezia, scampato alla morte) de La vita è bella di Roberto Benigni. E nel corso degli ultimi decenni è stato lui a guidare, nelle visite al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, pontefici e capi di Stato, ministri e vescovi ma soprattutto migliaia di giovani. E’ grazie al professor Pezzetti, cremasco, 69 anni, che Andra e Tatiana Bucci, le due sorelle sopravvissute all’Olocausto, sono tornate a mettere piede nell’inferno che le aveva inghiottite. Pezzetti, che oggi vive a Colonia ma nei prossimi giorni sarà in Italia per inaugurare una mostra a Roma e per incontrare gli studenti delle scuole di Crema, conosce meglio di ogni altro, ogni metro della prigione di Auschwitz-Birkenau.

Quando per la prima volta ha sentito il desiderio di avvicinarsi al dramma della Shoah?
Dopo il liceo. A scuola nessuno mi aveva mai parlato di quanto era accaduto. Si trattò di una scelta del tutto personale le cui ragioni preferisco non raccontare.

E quando hai messo piede per la prima volta ad Auschwitz-Birkenau?
Nel 1972. Non avevo ancora nemmeno vent’anni. Ero solo. Andai lì ma anche in altri campi nazisti nel territorio dell’attuale Polonia (all’epoca invaso dal Terzo Reich, ndr). Ricordo la mancanza della parola ebreo, nello spazio museale. Ovunque quel nome non c’era: nemmeno nei campi in Ucraina, in Lituania. Erano solo “vittime del fascismo”. Non esisteva nemmeno il nazismo. L’identità delle vittime era stata cancellata.

Da allora com’è cambiata la tua vita?
Non ne sono più uscito da quel campo di sterminio e non ne uscirò più. Tornato in Italia iniziai a lavorare alla fondazione Cdec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) di Milano e non ho più smesso di studiare, di scoprire quel pezzo di storia.

E’ ancora importante oggi la ricerca? Cosa c’è ancora da esaminare dopo settant’anni?
C’è ancora tantissimo lavoro da fare sui processi ai persecutori, sul numero delle vittime, sulla questione trasporti. Quanti sono stati i convogli partiti dall’Italia verso i campi di sterminio? Quali tragitti hanno compiuto? Quante persone sono morte durante quei viaggi?

D’altro canto i fascisti e i nazisti hanno cercato di cancellare anche ogni prova dell’esistenza di Birkenau.
Prima di lasciare il campo hanno bruciato e distrutto la maggior parte della documentazione, soprattutto le liste di trasporto. Il problema della ricostruzione dell’identità delle vittime non è mai terminato. Due anni fa abbiamo scoperto che le donne deportate dall’Italia erano molte di più da quanto rilevato: 1300. E’ un dato nuovo. Per anni si è detto che dal nostro Paese non erano mai partiti dei rom e invece, grazie ad una recente ricerca presso gli archivi del carcere “Coroneo” di Trieste, abbiamo scoperto che undici sono stati catturati e condotti ad Auschwitz-Birkenau.

Grazie a te le sorelle Andra e Tatiana Bucci sono tornate dopo anni al campo di sterminio. Come le hai convinte?
Ho tormentato tanti sopravvissuti perché è stato fondamentale il loro incontro con quel luogo. Tornando lì sono uscite cose nascoste nelle pieghe della memoria. E’ stato ed è un esercizio della memoria doloroso. La prima volta che ho intervistato Andrea e Tati a Trieste sono venute una da Padova e l’altra da Bruxelles per me. Parlando con loro della Risiera di San Sabba, dov’erano state imprigionate dopo la cattura, è uscito che non erano mai ritornate lì, pur avendo vissuto a Trieste fino al matrimonio e pur andando molte volte in quella città. Non è stato facile per loro andare alla Risiera dopo cinquant’anni. Tatiana si è rifiutata di mettere i piedi nella cella. Così ho chiesto di andare a Birkenau anche a Sabatino Finzi, storico sopravvissuto alla grande deportazione del 16 ottobre 1943. Con Sholmo Venezia, obbligato a lavorare nei Sonderkommando (squadre composte da internati e destinate alle operazioni di smaltimento e cremazione dei corpi dei deportati, nda) ho fatto 57 viaggi. Il mio sforzo è stato nulla rispetto al loro ma dovevo farlo.

La senatrice Liliana Segre ha lanciato un forte richiamo ricordando alcuni ragazzi olandesi che passavano sotto il cancello con la scritta “Arbeit macht frei” ballando a ritmo di musica e mangiando un gelato. “Non si va così a fare la gita ad Auschwitz, si va in silenzio, con vestiti adeguati. Non si va in gita, si va come a un santuario anche laicamente, a testa bassa e cercando di ricordare per non dimenticare la Shoah” ha detto la senatrice. Come si portano dei giovani in un campo di sterminio?
Quelli che vanno ad Auschwitz in quel modo per fortuna son pochi e sono persone di tutto il mondo, israeliani compresi. Spesso, noi storici, ci siamo confrontati su questo tema. In Germania, ad esempio, i luoghi della memoria sono visitati regolarmente dagli studenti. E’ normale, andarci. In Italia dipende, ancora, dalla sensibilità dagli insegnanti. C’è un altro approccio al tema. Qui in Germania, ogni sera alle 19,45 va in onda Logo, il telegiornale dei bambini. Mio figlio di sette anni non se lo perde e il tema del nazismo è trattato spesso.

Sempre Liliana Segre ha ricordato di quella volta che la regina d’Olanda e Berlusconi si presentarono in pelliccia. “I32n quel momento ho pensato: come sono contenta di non aver accettato questo invito”. I politici sono i primi ad essere così “distratti”?
Nessun primo ministro italiano – che io ricordi – è mai stato ad Auschwitz, solo Silvio Berlusconi che io ho accompagnato ma non ho in mente sue pellicce. Sono stato con Romano Prodi ma quando è diventato presidente della Commissione europea: un grande segno.

Samoel Berger, il tuo secondo figlio, ha sette anni. Come gli racconti quanto è accaduto?
Io e la madre, che è una storica del Fritz Bauer Institute, abbiamo deciso di fargli vivere la spensieratezza della sua infanzia. Ci basta che guardi Logo.