Politica

Spirito di Matteo Renzi, esci dal corpo di Stefano Bonaccini

“Spirito malefico di Matteo Renzi, esci da questo corpo!”. Di fronte al corpaccione in piena trance da segreteria Pd di Stefano Bonaccini, già in procinto di trasformarsi nel capro luciferino annunciato dalla sua barba irsuta, era apparsa nel bel mezzo di quel sabba orgiastico la figura imponente e carismatica dell’esorcista Enrico Letta; brandendo l’unica copia non finita al macero del suo breviario “Anima e Cacciavite. Per ricostruire l’Italia”. Opera insigne che pure – secondo qualche malevolo – solo per un fraintendimento gli aveva assicurato il premio Leroy Merlin, da parte dell’importante associazione civica dei “Bricoleurs du dimanche”; testo devozionale ora sventolato dal prode chierichetto franco-pisano che ancora porta sul proprio corpo ferite sempre aperte; subite nello scontro con il maligno ingannatore, che lo aveva tratto in inganno con il suo mistificatorio “stai sereno”.

Così aveva inizio il rito liberatorio dal sortilegio del Giglio intrallazzatore sull’asse Firenze-Rignano, e già i primi effetti iniziavano a manifestarsi nello sconnesso politichese dell’antico funzionario piccista di Campogalliano, cresciuto alla scuola secondo cui “più si parla, meno si deve dire”; l’apoteosi del banal grande: “la nostra storia” (quale?), “derive populiste, sovraniste” (cioè?), “è il momento di esserci, di impegnarsi, di partecipare” (“ei fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore, orba di tanto spiro”: in quanto a reiterazioni enfatiche Manzoni batte Bonaccini 5 a 3), “mettere insieme culture progressiste, riformiste” (ossia aria fritta). A che pro? Una fantomatica “energia popolare”, sopravvissuta in qualche anfratto del Pd, che il luogo comune burocratico del blairiano al lambrusco soffocherebbe immediatamente.

Che probabilmente vincerà, anche grazie al confusionismo mentale imperante. Per cui lo ieratico (?) Michele Emiliano appoggia alla segreteria del Pd il collega emiliano perché vuol contrastare i progetti sull’autonomia differenziata a danno del Sud, che il suo candidato segretario promuoveva insieme ai leghisti già nel 2018.

Sicché il tentativo lettiano di rifondare il partito dopo averlo affondato, attraverso il rito iniziatico congressuale e l’individuazione di maschere adatte a nascondere la faccia priva di lineamenti del Partito Democratico, si sta rivelando rapidamente fallimentare. Nonostante le lunghe sedute davanti allo specchio del tenero Enrico per assumere lo sguardo della tigre (forse crede di essere in un sequel di Rocky).

Infatti troppo numerosi erano i renziani alla Bonaccini lasciati in stato di animazione sospesa negli organigrammi di partito da quello stesso rottamatore che ne stava fondando un altro. Ora richiamati alla missione di impadronirsi delle spoglie piddine dalla Maga Magò Pina Picierno, in team con il governatore dell’Emilia Romagna in procinto di spiccare il volo. Mentre il partito da conquistare è in caduta libera.

Quali contromisure per salvare almeno l’aggettivo “democratico” nel momento storico in cui il mondo va verso l’oligarchia plutocratica, buona parte dell’Europa scivola a Est nella democratura (la democrazia ridotta a guscio vuoto rituale) e l’Italia sperimenta l’americanizzazione (berlusconizzazione) di una destra che si vorrebbe sociale, mentre si rivela capace soltanto di allestire campagne elettorali permanenti (e alla faccia dei poveracci)?

La simpatica Elly Schlein può essere la ciambella di salvataggio per quel che rimane (se rimane) di un capitale di lotte per un Paese più laico e più giusto? Soprattutto ora che dilagano la retorica patriottarda, che Samuel Johnson stigmatizzava come “l’ultimo rifugio delle canaglie”, e il mito nazionalista che all’inizio del Novecento servì per spedire al fronte milioni di giovani proletari che non fecero più ritorno.

Spiace dirlo, ma l’impresa sembra improba per una sessantottina di ritorno, vero corpo estraneo anche rispetto a una base elettorale di conservatori di sinistra, e comunque espressione di una Nuova Sinistra radicale post-comunista ormai obsoleta da decenni (e innumerevoli sbandate intellettuali. Vedi la sostituzione della classe con la categoria consumo). Mentre l’altro alfiere di un’ipotesi di Pd a sinistra – Gianni Cuperlo – ha l’appeal di una minestra riscaldata con tendenza al rancido, stanti le frequentazioni ormai ultradecennali con professional senz’anima e riflessi condizionati carrieristici tipo Andrea Orlando o Dario Franceschini. Della renziana pentita Paola De Micheli, il cui profilo politico ha la nitidezza di un nebbione nella sua Piacenza, non vale parlarne.

Dunque? Si prenda atto con Luciano Canfora che ormai il Pd fa parte di quel “partito unico articolato” che regna senza contrappesi e pure senza popolo. E pensare di recuperarlo trasformandolo in qualcosa di diverso può risultare illusorio: “una forma di assetto politico non resta democratica anche quando il demo se n’è andato”.