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Vedere Lula di nuovo presidente è il trionfo di tutti coloro che lottano e sognano

In Brasile, il 2023 sembra avere quest’alba multicolore, morbida e profumata dopo una lunga notte di tempesta. Questo 1 gennaio 2023, il sole splende sulla spianata dei Ministeri di Brasilia. 300.000 persone hanno viaggiato da tutto il Brasile e altrove per vivere l’investitura di Luis Inacio Lula da Silva, dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica il 30 ottobre.

Sputando sul protocollo repubblicano, Jair Bolsonaro è il primo a non consegnare la fascia presidenziale al suo successore. Esiliato negli Stati Uniti ha preferito fuggire dal Paese e soprattutto dai pesanti procedimenti giudiziari che lo aspettano.

Non importa! Il popolo brasiliano si è preso molta cura di investire il nuovo presidente. Ed è sotto lo sguardo protettivo di un’incredibile diversità di persone, giovani, anziane, di tutti i colori della pelle, di tutti gli stili e classi sociali, gli occhi pieni di lacrime di gioia, i pugni chiusi e il cuore che batte, che Lula ha indossato la fascia presidenziale. A consegnargliela è stata Aline Souza, una giovane donna nera che fa la netturbina da tre generazioni, madre di 7 figli. Al suo fianco il vecchio cacicco Raoni della tribù Kayapo e altre persone sconosciute al grande pubblico, che rappresentano i lavoratori del paese.

Lula, investito dal popolo brasiliano. Un’immagine così semplice e così forte allo stesso tempo che segna la priorità del governo Lula 3 di lavorare per l‘uguaglianza, la giustizia sociale e la fraternità. La voglia di ringraziare ogni attivista per l’avvento di questa vittoria. Celebrarla profondamente all’insegna della gioia e della speranza per espellere dalla memoria collettiva l’episodio di Bolsonaro. In questi quattro anni, l’odio e la violenza sono entrati nella vita quotidiana di tante persone, a tal punto che ognuno ha finito per perdere una parte della propria umanità.

Bisognava viverlo davvero, stretti contro centinaia di migliaia di altre persone. Lacrime di sollievo per eliminare definitivamente questa incomprensibile paura che, nonostante l’enorme sistema di sicurezza in atto e la benevolenza ambientale, l’impensabile possa ancora accadere. Perché fatti impensabili ce ne sono stati tanti dall’inizio del processo di impeachment di Dilma Rousseff nel 2015 che segna una lenta e lunga discesa agli inferi per lo Stato di diritto brasiliano e per tutti coloro che hanno cercato di combatterlo.

A cominciare con l’accanimento nei confronti della presidenta Dilma Rousseff rieletta nel 2014 e destituita nel 2016. Viene accusata di cattiva gestione del bilancio, pratica che prima di lei avranno già messo in atto decine di presidenti in carica. La sera del 17 aprile 2016, durante la sessione plenaria del congresso trasmessa in diretta su tutte le reti televisive, sarà oggetto di uno sfogo di umiliazioni. Già all’epoca un certo Jair Bolsonaro, deputato, dedicherà il suo voto favorevole alla destituzione, al colonnello Ustra, torturatore di Dilma Rousseff sotto la dittatura militare.

Segue il tradimento del suo vicepresidente Michel Temer che, appena investito, cambierà radicalmente il corso del programma di governo. Sfidando il voto dei suoi elettori, si impegnerà a distruggere il diritto al lavoro, otterrà la privatizzazione delle principali aziende pubbliche del Paese e ridurrà drasticamente le spese pubbliche.

Poi venne il 2018 e le sue elezioni presidenziali di ottobre. In un contesto di crescente violenza contro i giovani neri delle periferie, il 14 marzo 2018 è stata assassinata la consigliera comunale Marielle Franco. Pochi giorni dopo, il 7 aprile, Lula è incarcerato dopo essere stato condannato senza prove durante un processo nei molteplici abusi che la giustizia brasiliana finirà per riconoscere, ma troppo tardi.

Quell’anno, milioni di uomini e donne brasiliane si sono mobilitati per far sentire la loro rabbia nel vedere i principi democratici del loro paese calpestati in questo modo. Da una parte Lula, impedito di concorrere alle elezioni, dall’altra Bolsonaro, la cui popolarità è alle stelle grazie a una campagna di disinformazione illegale e senza precedenti. Di fronte alla possibilità di vedere tornare i militari e l’estrema destra, appena 50 anni dopo il golpe del 1964, fu con lo slogan “Ele não” (“non lui”) che i brasiliani e soprattutto le brasiliane tentarono invano di impedire la sua vittoria.

Per i successivi 4 anni i movimenti sociali, e tutti i difensori dei diritti umani e della democrazia, hanno mantenuto la promessa che si erano fatti la sera del disastroso secondo turno di ottobre 2018: “Ninguém solta a mão de ninguém” (nessuno molla la mano di nessuno). Già indeboliti da 3 anni di combattimenti quotidiani e persecuzioni politiche, dovranno ancora affrontare la morte di 700.000 connazionali causata dalla politica sanitaria genocida di Bolsonaro durante la pandemia di Covid19.

L’assassinio di oltre cento difensori dei diritti umani, ma anche il rafforzamento delle milizie paramilitari nei quartieri, il crescente potere della polizia e dell’esercito all’interno del settore pubblico, la scomparsa di interi programmi governamentali dedicati alle donne, ai giovani, alla cultura o ai popoli indigeni, gli incendi dolosi alle stelle in Amazzonia e gli insulti quotidiani, maschilisti e razzisti al Capo dello Stato.

La vittoria di Lula lo scorso ottobre è il frutto di questa promessa di popolo a popolo. Non mollare mai, anche dopo aver subito tante sconfitte e umiliazioni. Continuare a lottare per il giusto, anche quando si pensa di aver toccato il fondo di fronte alle crescenti intimidazioni di potenti avversari, di fronte a condizioni di vita sempre più difficili. La vittoria di Lula è il trionfo di tutti coloro che lottano.

Nessuno ignora le difficoltà che verranno: la convivenza con un congresso diviso che non farà concessioni, i compromessi già troppo generosi per formare un governo di unità che non andra abbastanza lontano con le riforme strutturali o anche la latente instabilità del biglietto presidenziale con il vice e ex-conservatore Geraldo Alkmin che riporta ricordi fin troppo recenti.

Ma, a Brasilia, questo 1 gennaio 2023 lasciamo tutto quanto per dopo e ci si gode la festa. Ci si celebra la presenza di ogni persona. Ci si guarda ridendo e silenziosamente ci si rende omaggio a tutto ciò che questi anni hanno significato per ognuno e ognuna. Ci si prende il tempo per immergerci in questo momento storico, in modo che attecchisca nelle profondità della terra. Ci si allarga le braccia, ci si canta e salta perché si diffonda all’infinito, da nord a sud, su tutta la superficie del Brasile.

*immagine in evidenza di Mídia Ninja