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Spagna, 15 mesi di carcere per aver diffuso una fake news: un processo alla post-verità

Le fake news nel mirino della magistratura spagnola. Ha suscitato non poco clamore una sentenza della sesta sezione del tribunale di Barcellona con la quale i giudici, accogliendo le richieste del pubblico ministero, hanno condannato l’imputato, membro della Guardia civil, a 15 mesi di carcere per un tweet contenente un video sì vero ma usato in modo distorto. La terribile sequenza di una brutale aggressione verso una donna messa in rete dalla polizia cinese per identificare i malviventi è stata attribuita, in un post discriminatorio, a ragazzini di strada di origine marocchina stabilitisi a Canet de Mar, centro costiero non lontano da Barcellona. Migliaia le visualizzazioni, quasi a volerne sottolineare la condivisione del contenuto, tant’è che successivi fatti delinquenziali verificatisi nella piccola località marina hanno portato i residenti a puntare immediatamente l’indice contro un Centro di accoglienza di minori magrebini.

La sentenza definisce i contorni della vicenda con motivazioni lapidarie: “un manifesto disprezzo per la verità” che è base e strumento per deformare la realtà, alimentare pregiudizi, diffamare.

Sul banco degli imputati del tribunale catalano non c’era solo un uomo frustrato che, al pari di tanti altri, inneggia alla razza bianca facendo ricorso al consueto armamentario di stereotipi ricolmo di stupratori seriali col passaporto straniero o di baby gang magrebine dedite alle rapine, ma un pezzo di società. A processo è andata la post-verità, l’argomentazione fuorviante, qui espressa in crude immagini, che fa appello all’emotività in modo da influenzare l’opinione pubblica. La Treccani qualifica la nuova tendenza come la credenza diffusa, non basata su fatti verificati, che viene accettata come veritiera. Una attitudine conosciuta ovunque, anche in politica.

Ne sa qualcosa Pablo Casado, ex capo dei Populares, partito accreditato della maggioranza relativa nelle prossime elezioni politiche, chiamato da un giudice catalano a rispondere delle dichiarazioni rese sulla questione linguistica in Catalogna. L’ex leader dell’opposizione arrivò a sostenere che la discriminazione delle istituzioni scolastiche catalane verso il castigliano si spinge all’estremo, con gli improbabili divieti per gli ispanoparlanti di usufruire dei servizi igienici scolastici o di parlare lo spagnolo durante la ricreazione. Con applicazione di sanzione di stampo medievale: il riempimento degli zaini con pietre. L’hate speech che nutre la propaganda, l’odio che diventa reato.

L’agente della Guardia civil è il primo condannato per divulgazione di una fake. Ai 15 mesi di carcere, con sospensione condizionale della pena, si aggiunge un’ammenda di 6 euro al giorno per nove mesi e l’interdizione di cinque anni da professioni educative, anche in ambito sportivo. E poi quella che ai tempi d’oggi potrebbe apparire come la misura più punitiva: l’oscuramento di tutti i profili social dell’hater e il divieto di aprirne di nuovi.

Basterà questo precedente a contenere le discriminazioni sul web? Albert Einstein aveva già la risposta: “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”, ripeteva con un po’ di rassegnazione il fisico tedesco.