Società

Diffidate dei filosofi che per mestiere non dicono niente di diverso da quello che è concesso dire

di Leandro Cossu*

Giovanni Calvino coniò una parola per descrivere un atteggiamento religioso, ma che si presta anche a un uso politico: nicodemismo. In molti si ricorderanno di Nicodemo, il personaggio che, nel Nuovo Testamento, fa pubblica fede di fariseismo di giorno, mentre di notte va in segreto a sentire Gesù. Con quella parola, Calvino indicava quei protestanti che, per paura di ritorsioni, frequentavano i culti cattolici pur facendo professione di luteranismo in privato.

Il filosofo si trova in una posizione ambigua. Da un lato, ci ricorda Remo Bodei citando Hegel, “…il filosofo continua a essere in pericolo, è esposto come i trovatelli a tutte le intemperie politiche, anzi ‘il professore di filosofia è in sé e per sé un expositus nato‘ “» [Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, 2021, p. 101]. Ed effettivamente figure come Socrate o Giordano Bruno hanno pagato con la vita la mediazione mancata tra le esigenze della speculazione e potere politico.

Dall’altro lato, tuttavia, il potere politico vince la partita contro la filosofia, e i pensatori sono portati all’autocensura e al nicodemismo per evitare ripercussioni politiche e lavorative. Domenico Losurdo, e lo stesso Bodei, ci hanno regalato pagine memorabili su questo atteggiamento in Kant e Hegel. E proprio per citare il Kant privato di una lettera, “(i)nvero io penso con la più ferma convinzione e con mia grande soddisfazione molte cose che non avrò mai il coraggio di dire, ma giammai dirò qualcosa che non penso” [cit. in Domenico Losurdo, Hegel e la libertà dei moderni, La Scuola di Pitagora, 2011, p. 27].

In questi giorni terminali del post-modernismo, caratterizzati da isteria di massa e schizofrenia intellettuale, il nicodemismo, come strategia di “protezione individuale”, non basta più. Il grande spettacolo a cui stiamo assistendo non può tollerare la nostra riduzione a spettatori silenti. Pretende che, nel nostro piccolo, noi ci riduciamo ad attori della farsa con cui la storia si sta presentando per la seconda volta. È la differenza che Baudrillard indica tra dissimulazione e simulazione: nel primo caso si finge di non avere ciò che si possiede, nel secondo caso, si finge di avere ciò che si ha. Dissimulando, la differenza tra reale e finzione rimane. Simulando, questa distinzione viene a cadere, e si entra quindi nell’iperreale, un reale “senza origine o realtà”.

Questa situazione è sostenibile solo in un modo: se tutte le persone coinvolte partecipano alla simulazione. Ecco quindi che ritorna il nicodemismo. Per rompere il cristallo non c’è bisogno di esporsi in dissidenza esplicita contro una posizione maggioritaria. A volte, può bastare anche il silenzio. Se tutti simulano l’arrivo di un asteroide, non far niente è il modo migliore di ristabilire il principio di realtà. In altre situazioni può servire ribadire le leggi della logica: se vuoi l’invio di armi per un paese in guerra, non sei pacifista – e viceversa.

Come comportarsi, dunque, nel flusso ininterrotto di parole dette e scritte? Diffidare dei filosofi, e in generale degli intellettuali o dei giornalisti, che per mestiere non dicono niente di diverso da quello che è concesso dire (e, collateralmente, di tutti gli inviti al pensiero critico da parte del potere costituito, perché con essi intendono la critica non rivolta contro di loro, ma contro i loro detrattori). Di contro, diffidare ugualmente di tutti i filosofi contestatori di professione, e la cui attività consiste nel prendere l’opinione corrente e negarla astrattamente. Accogliere come contributi alla discussione – non quindi fare proprie in automatico, ma considerare come un discorso degno di essere preso seriamente, fatto proprio o rifiutato – tutte le posizioni che non fanno gioco di una sedicente autoevidenza in positivo o in negativo, di cui si avverte una razionalità nell’esposizione e nell’argomentazione e il peso del cammino svolto per arrivare alle conclusioni, sia che si sostenga una opinione dominante, sia che invece si vada a parare in conseguenze paradossali. Solo in questo modo è possibile liberarsi dei giullari di corte, in televisione, nei giornali o peggio ancora quelli che abbiamo interiorizzato, che sollazzano l’arbitrio del potere prestandosi a ogni suo gioco e capriccio:

Una volta Carlo II invitò i membri della Royal Society a spiegargli perché un pesce morto pesi di più dello stesso pesce da vivo; gli fu fornito un gran numero di sottili spiegazioni. Allora egli fece notare che non è vero. [Alasdair MacIntyre, Dopo la virtù, Armando Editore, 2007, p.130]

* Studente magistrale in Scienze filosofiche