Cinema

Visioni Italiane 2022, la crudeltà del revenge porn e degli allevamenti intensivi tra le proposte del festival della Cineteca di Bologna

Speck – un destino cambiato è il cortometraggio diretto da Martina Scalini girato da un ragazzo infiltrato in un allevamento intensivo di maiali per conto dell’associazione Essere Animali. Mi chiamavo Eva di Miriam Previati è il racconto del gorgo di vergogna che si stringe sempre più intorno alla vittima

Immagini clandestine, immagini rubate, immagini invisibili. Al festival Visioni Italiane 2022, organizzato da Cineteca di Bologna, su grande schermo finiscono il realismo esasperato di un allevamento intensivo di maiali e la ricostruzione di un devastante filmato di revenge porn. Speck – un destino cambiato, cortometraggio diretto da Martina Scalini, si apre con l’obiettivo proprio addosso alle rade setole di un paffuto maialone. Un suino liberato dal macello ora diventato grande. Dettagli: zampette, peluria, grugnito, infine l’orecchio su cui è impresso il marchio di serie con inchiostro. E qui inizia il sonoro originale di un filmato girato da un ragazzo infiltrato in un allevamento intensivo di maiali per conto dell’associazione Essere Animali.

Videocamera all’occhiello, il protagonista accompagna con la voce alcune sequenze raccapriccianti, viste online come in qualche trasmissione tv, dove le bestie finiscono ammassate, ferite, tramortite, ammalate, defunte. Pensare che tutto ciò diventi cibo ancora una volta balena come effetto ributtante. Solo che in Speck oltre l’impianto di investigazione rituale, lo scarto di senso, il nucleo drammaturgico è quel filo di umanità e vicinanza che lega due specie viventi differenti. Il ragazzo che investigava viene colpito da un maialino appena nato che pesa la metà degli altri fratelli e sorelle. Pur con l’artrite batterica il piccolo si rialza di continuo e ritenta di ciucciare una tetta di mamma. L’immagine qui oramai sublima in un muro dell’allevamento, in una corsia tra scrofe impossibilitate a muoversi. Fino a quando il protagonista decide che dovrà rapire e portare in salvo quel maialino. “Di fondo quei maiali sono come noi e il macello è la metafora dell’ingiustizia del mondo: siamo sballottati in questa corsa continua, spinti dove non si vuole dalla massa, fino al momento in cui si muore”, dice pressappoco il protagonista di cui noi si vede mai il viso. Il muso invece di Speck si vede eccome. Ora scorrazza libero con cani e altre bestiole in un grande prato.

Il cortometraggio Mi chiamavo Eva di Miriam Previati, invece, porta a galla un’altra immagine rimossa del contemporaneo, quella di un ipotetico filmato porno con protagonista, suo malgrado volontaria, una ragazza e il suo fidanzato mentre fanno sesso. Filmato che viene diffuso in lungo e in largo in rete e che noi, ovviamente, non vediamo. Evocazione simbolica quindi di un caso possibile attraverso il corpo continuamente in scena della regista e protagonista, la ferrarese Miriam Previati. “Ogni condivisione mi violenta l’anima”, spiega la donna vittima di revenge porn. Poi scorrono in voice over epiteti, frasi fatte e immondezzaio linguistico attorno alla vittima: “Puttana”; “Bocchinara”; “Se ti piace il cazzo che male c’è?”; “Non fare la vittima, dai”; “In fondo mica ti hanno obbligata”. E via così. Con il gorgo di vergogna che si stringe sempre più e fa sprofondare la protagonista, one women show della Previti, in un abisso tragico che porta al suicidio. “Avevo 19 anni e il video porno di una mia coetanea compaesana girato di nascosto da un suo amico era circolato per tutti i cellulari”, spiega la Previati nella genesi del suo corto. “Lo avevo visto anche io e ne avevo riso. Io, donna, possibile amica, possibile vittima.. ne avevo riso”.