Politica

“La norma anti-rave è un pretesto: così il governo manda un messaggio culturale. Su cortei e proteste cambia la gestione dell’ordine pubblico”

L'ex magistrato Livio Pepino, punto di riferimento della galassia No Tav, anticipa gli effetti della nuova fattispecie di reato: "Ognuno potrà interpretarla come vuole, perché basta il rischio che da un raduno derivi un pericolo. Si potranno colpire le occupazioni scolastiche, universitarie, sindacali e tutte le manifestazioni non autorizzate, come quelle in Val Susa. È uno strumento dalla discrezionalità enorme, che se usato in modo spregiudicato può essere molto pericoloso"

“Questa non è la “norma anti-rave”. Il rave è il pretesto, ma la portata del reato è molto più ampia. È uno strumento dalla discrezionalità enorme, che se usato in modo spregiudicato può essere molto pericoloso. Il governo ha mandato un messaggio di tipo culturale: qui cambia tutta la gestione dell’ordine pubblico”. Livio Pepino è un esponente storico della magistratura progressista e un esperto di movimenti e repressioni. Pretore, pm e sostituto procuratore generale a Torino, poi giudice di Cassazione e membro del Csm, dal pensionamento è direttore delle Edizioni Gruppo Abele. Già segretario e presidente di Magistratura democratica, ha dedicato gli ultimi anni di carriera alla causa No Tav, schierandosi con articoli e interventi pubblici in difesa delle comunità valsusane ed entrando spesso in conflitto con l’establishment politico e giudiziario. Al fattoquotidiano.it commenta la nuova fattispecie penale introdotta con il primo decreto-legge del governo Meloni, che punisce con il carcere da tre a sei anni (o con la multa da mille a diecimila euro) chi organizza o promuove un'”invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Una stretta contestata dalle opposizioni, che per Amnesty International “rischia di avere un’applicazione ampia, discrezionale e arbitraria a scapito del diritto di protesta pacifica, che va tutelato e non stroncato”.

La nuova norma di cui all’articolo 434-bis del codice penale, infatti, non parla mai di rave, musica o di stupefacenti. Ma solo – genericamente – di raduni di più di cinquanta persone. Serve un'”invasione”: cioè deve mancare il consenso del proprietario (nel caso di luoghi privati) o dell’autorità. Ma se quest'”invasione” si verifica, “per rischiare fino a sei anni di carcere non serve nemmeno che ci sia un pericolo effettivo per l’ordine, la salute o la sicurezza pubblica: basta che dal raduno possa astrattamentederivarequel pericolo“, spiega Pepino. E chi lo valuta? “Bella domanda. Ovviamente, in prima battuta l’autorità di polizia che interviene. Poi il pm che formulerà l’imputazione, infine il giudice. Ma il problema”, sottolinea, “è che la norma è indeterminata, così ognuno di questi soggetti può interpretarla come gli pare. Le norme penali devono, o dovrebbero, essere molto precise, per non prestarsi a interpretazioni dilatate. Invece questo reato, lo dico con una battuta, potrebbe applicarsi anche a una comitiva di scout che entra in una baita abbandonata, se qualcuno si mette in testa che ne derivi un pericolo per l’ordine pubblico”. Ma ovviamente il rischio vero è un altro: “Si potranno colpire le occupazioni scolastiche, universitarie, sindacali. E tutte le manifestazioni, se non autorizzate: quelle contro il rigassificatore di Piombino, per fare un esempio attuale. O contro una discarica, un termovalorizzatore, una grande opera. È qualcosa di estremamente pericoloso“.

Per la sua storia, l’ex magistrato pensa prima di tutto alla Val Susa. “Questa norma sarà certamente applicata a chi partecipa ai presidi di fronte ai cantieri. D’altra parte, il nome “No Tav” è ormai considerato un sinonimo di rischio per l’ordine pubblico. Mi ricordo un vecchio articolo in cui una protesta contro il Tav era stata sintetizzata così: “Non è successo niente, ma avrebbe potuto succedere“. Ecco, il nuovo reato punisce proprio questo: l’ipotesi che qualcosa possa succedere. D’altra parte “qualcosa” può succedere sempre…”. Per procedere con un decreto-legge (che si può usare solo in casi di necessità e urgenza) il governo ha usato il “gancio” del raduno di Modena. “Ma quella è proprio la dimostrazione che non c’era nessuna necessità né urgenza! Con un’operazione di polizia civile e attenta si è raggiunto il risultato senza bisogno di repressione. E questo vale per quasi tutte le situazioni di ordine pubblico, che vanno gestite con intelligenza, duttilità e dialogo, non con il muro contro muro. Senza contare che l’ultimo rave era stato quello di Viterbo, un anno fa. Non proprio un’emergenza…”. Secondo Pepino, anzi, il decreto voluto dal neo-ministro dell’Interno Matteo Piantedosi inaugura una stagione. “Ancora più delle conseguenze, mi spaventa il segnale. Non è un caso che sia stato questo il primo provvedimento del governo, e non un decreto sull’economia o sulle bollette. È lo stesso filo rosso inaugurato con i decreti sicurezza: vedremo un moltiplicarsi di quelle situazioni repressive che sono state osservate, in passato, in Valle e altrove. La coincidenza tra l’insediamento del nuovo governo e le manganellate agli studenti alla Sapienza, d’altra parte, non è senza significato, ma è un biglietto da visita”.