Società

I giovani non scelgono più: è il ‘demone del dubbio’. Così però si genera insoddisfazione

Quando studiavo alle superiori mi appassionava la storia della filosofia. Un filosofo di Copenaghen Soren Kierkegaard mi interessava per alcuni dei suoi costrutti teorici sulla difficoltà dell’esistenza e sulla necessità della scelta. Questa teoria venne elaborata inizialmente in un libro intitolato Aut-Aut, nel quale l’autore si pone l’alternativa fra scelta estetica ed etica attraverso racconti di personaggi immaginari. La vita estetica si caratterizzerebbe nel rifiuto di ogni legame e impegno per vivere attimo per attimo. Quella etica, al contrario, delinea scelte conformi ai modelli generali di comportamento codificate dalla società in cui si vive. Il prosieguo di questo pensiero è che mentre gli animali sono sereni perché non immaginano il loro futuro, l’uomo è destinato all’angoscia perché sa che esiste un futuro, ma non può prevederlo. Le scelte divengono così terreno di difficoltà e sofferenza.

Ho introdotto questo problema, forse con qualche inesattezza (ma mi scuseranno i filosofi di professione) perché nella mia attività professionale attuale vedo continuamente giovani che vivono quello che ho chiamato il “demone del dubbio”. Di fronte alla necessità di attuare delle scelte molti ragazzi che incontro paiono incapaci di agire. Si lasciano trascinare dagli eventi. Se io scelgo di fare un lavoro, ad esempio il barista, è chiaro che perdo l’opportunità di svolgere tutti gli altri lavori come il gelataio, l’idraulico, il postino etc. Se scelgo un fidanzato perdo la possibilità di conoscere e frequentare migliaia di altri uomini potenzialmente belli, intelligenti e desiderabili. Ogni decisione della vita porta con sé una miriade di rinunce rispetto ad altre possibilità che non verranno colte.

Molti giovani paiono ora in balia del “demone del dubbio” e rimangono in una sorta di “surplace” (posizione di equilibrio in bicicletta in attesa di partire) psicologico che permette loro di non incamminarsi in nessuna direzione. Sembrano dei guidatori che si ostinano a girare intorno ad una rotonda senza la volontà di imboccare una strada per timore di sbagliare direzione.

Recenti statistiche parlano in Italia di un milione di ragazzi Neet, acronimo che indica giovani che non lavorano e non studiano. Sono in attesa di non si sa cosa. Fenomeni sociologici, quali l’adolescenza prolungata oltre ogni limite, sono da ascrivere all’ incapacità di attuare scelte per rimanere attaccati al proprio ruolo infantile con la mamma e il papà, ormai anziani, che fungono da protezione psicologica. Il calo drammatico e molto violento delle nascite non è da imputare solo a problematiche economiche (nel dopoguerra con molta più miseria si facevano tanti figli), ma alla incapacità di scegliere e alla volontà di rimandare ad oltranza. Quando poi il tempo è trascorso e si è arrivati agli anni “anta” ecco che ritorna il desiderio di poter cercare un figlio con il ricorso massiccio ai centri di fecondazione assistita. Negli ultimi anni assistiamo al nuovo fenomeno che definisco di “adolescenza di ritorno”. Persone, ormai per età molto adulte, se non anziane, tornano a comportarsi come adolescenti sfuggendo alle responsabilità, cercando nuove possibilità nei vari campi della vita lavorativa e sentimentale per scimmiottare i giovani e comportarsi, conseguentemente, come emeriti imbecilli.

Questi nuovi fenomeni sociali portano a un aumento della felicità per le persone che li vivono? Un anziano che torna a comportarsi da adolescente, un giovane che non sceglie ma continua a vivere procrastinando ogni decisione con anni sabbatici, un Neet che rimane in casa coi genitori, sono più o meno felici di coloro che superano la loro adolescenza, scelgono un lavoro e decidono se avere o meno una famiglia? Impossibile dare una risposta univoca, in quanto ogni persona è un universo psicologico a sé. A grandi linee però posso ipotizzare che questo “demone del dubbio” proprio come il classico Belzebù ti abbindoli con vantaggi e soddisfazioni immediate per portarti a una sofferenza di lungo termine.

Non attuare delle scelte ti lascia davanti innumerevoli opportunità ma, nel tempo, rischia di creare un grande senso di insoddisfazione. Il pensatore Kierkegaard che alcuni psichiatri, rileggendo la sua vita e le sue opere, hanno definito come affetto da depressione arriva alla conclusione che il destino esistenziale dell’uomo sia l’angoscia. L’angoscia in queste situazioni è un sentimento che scaturisce dal numero infinito e indeterminato delle possibilità e dal rischio di ogni scelta. Visto che questo filosofo viveva agli inizi dell’800, ed era espressione di quella società, la soluzione che intravide per lenire l’angoscia fu la vita religiosa in cui la fede salva l’uomo. Credere fermamente in qualcosa che ci trascende in effetti è un modo per non dover attuare le scelte, delegandole ai precetti della fede che in quel momento ci illumina. Noi che viviamo agli inizi del 2000 a cosa possiamo credere? Cosa possiamo rispondere o non rispondere noi psicoterapeuti a coloro che vengono a chiederci lumi?