Cultura

Quando Einaudi fece pubblicare a Primo Levi le sue “Storie naturali” con uno pseudonimo: il libro “specchio” dell’autore “centauro”

Il testo è stato riedito (dopo molti anni) dalla stessa casa editrice nella storica collana delle Letture (col numero simbolico 100), e per le cure di Martina Mengoni e Domenica Scarpa. Inizialmente firmato a Damiano Malabaila, fu un libro sull’attualità, senza però lasciarsene turbare

Per Lucrezio, animo educato alla scuola dell’epicureismo, i centauri sono esseri leggendari mai esistiti. Già, la loro natura ibrida, metà cavallo e metà uomo, suggerisce l’impossibilità di un simile connubio bestiale, che il poeta-scienziato rigetta, nel V libro del De rerum natura, sulla base di considerazioni estremamente moderne. «Quanto ai Centauri, – si legge nella nuova traduzione della Natura delle cose, edita da Mondadori (2022) per le cure di Milo De Angelis – non sono mai esistiti. In nessun tempo / possono esistere creature di duplice natura e di duplice corpo, / composte da un insieme inconciliabile di membra eterogenee / che pretende di far coesistere due nature totalmente diverse».

La figura del centauro non sarà materia di scienza, eppure la sua capacità evocativa ha risvegliato la penna di molti scrittori contemporanei che hanno voluto farsi affascinare dal mito delle origini del mondo. Lo stesso Lucrezio, come scrive De Angelis, la cui traduzione restituisce ai lettori odierni il rivolgersi inquieto e violento del suo pensiero nella struttura dell’esametro latino, è attraversato da un pervasivo senso del nulla e, insieme, dall’energica volontà di comprendere la natura delle cose, persino di quei minuscoli corpuscoli che sono gli atomi. Pur negandone la natura, anche Lucrezio era in fondo un centauro, scienziato di formazione epicurea e poeta dalle immagini sublimi, che sempre in quel quinto libro della sua opera ripercorse la genesi casuale del mondo e degli uomini.

Dovette di certo pensare a lui anche Primo Levi, quando da sopravvissuto all’estrema tragedia novecentesca del Lager e dopo aver scritto due intensi libri di testimonianza, come Se questo è un uomo e La tregua, decise di dare alle stampe, nel 1966, sempre per Einaudi Storie naturali, titolo che deve l’ispirazione a un altro autore latino, il Plinio della Naturalis Historia, il quale si era a lungo soffermato sugli esiti bizzarri e mostruosi della natura. Ma le Storie naturali di Levi, riedite (dopo molti anni) il 30 agosto 2022, sempre da Einaudi, nella storica collana delle Letture (col numero simbolico 100), e per le cure di Martina Mengoni e Domenica Scarpa, sono davvero poco naturali, tant’è che, poco prima della loro pubblicazione, l’ufficio commerciale di via Biancamano suggerì all’autore, noto in tutto il mondo per la sua vicenda testimoniale, di optare per uno pseudonimo, Damiano Malabaila, il cui significato rimandava a un nutrimento non più efficace, a un odore di latte andato a male. Il nome del testimone, per eccellenza, non poteva essere mescolato con quello di un narratore di opere fantastiche.

Per entrare in questa raccolta di quindici racconti conviene però seguire l’epigrafe posta all’inizio del libro ed estrapolata dal Gargantua et Pantagruel, opera geniale dalla satira pungente e triviale di François Rabelais, del quale lo stesso Levi confessò il ruolo di scrittore senza precetti e morale. E non sarà allora una scelta casuale se proprio nella citazione dello scrittore cinquecentesco vi sia un rimando a quel mondo mostruoso e contronatura descritto da Plinio, cui prima mi richiamavo.

Se mettiamo in fila i pochi elementi fin qui affastellati, la nebbia tenderà forse a schiarirsi: uno scrittore noto per le sue opere di carattere per lo più, per quanto non univocamente, memorialistico dà alle stampe, sotto pseudonimo, un libro che si allaccia a una lunga tradizione letteraria di scritti che hanno in comune una propensione per il mostruoso e per il meraviglioso. Fu un «libro specchio» rispetto a quanto scritto su Auschwitz, eppure, proprio per un principio di paradossale rovesciamento Storie naturali fu un libro sull’attualità, senza però lasciarsene turbare.

L’opera non è un unicum in Italia, si può accostare a quelle dei maestri einaudiani, Pavese e Calvino, autori rispettivamente di opere come i Dialoghi con Leucò (1946) e Le Cosmicomiche (1965), i cui personaggi non sono poi così dissimili dalla galleria leviana di animali, come il protagonista del racconto Quaestio de Centauris, centauro dal temperamento mansueto allevato nella tenuta di famiglia del narratore, la cui storia lambisce i territori oscuri dell’origine del mondo e delle cose.

La stessa passione per Lucrezio discese da questa propensione al mondo della scienza che egli aveva accresciuto durante gli studi universitari, laureandosi in chimica. «Poiché – confessa il narratore – non ho ragione di dubitare su quanto di se stesso Trachi mi narrò, devo dunque invitare gli increduli a considerare che vi sono più cose in cielo ed in terra di quante la nostra filosofia ne abbia sognate». Lo stesso narratore di questo racconto è creatura ibrida, proprio come il centauro Trachi che custodisce. È attraverso di lui che il lettore scopre la lunghissima vita del centauro, la cui esistenza affonda in quel mondo originario e bestiale che, in conclusione di racconto, risale dalle viscere del suo essere ed esplode in una furia selvaggia e violenta che lo allontana per sempre dal consesso civile degli uomini e di chi finora lo aveva con amore custodito.

E allora la vicenda di questo centauro diviso tra una parte razionale e una irrazionale è paradigmatica e coinvolge lo stesso autore che, non a caso, in quello stesso anno, nel 1966, nel corso di un’intervista si definì «centauro»: chimico e scrittore, scienziato umanista, ebreo e italiano, così vittima del Lager, pur non propenso ad alcuna forma di vittimismo. Credo che, in fondo, non si possa slegare questa raccolta di racconti da quanto scritto in precedenza, ma che proprio la lente della distorsione e del paradosso offra una prospettiva inusuale, quella di questi esseri in-naturali, che pure tornano a raccontare quel tragico mondo. Non fu d’altronde lo stesso Levi, nel Sistema periodico, a scrivere a proposito della condizione umana che «l’uomo è centauro, groviglio di carne e di mente, di alito divino e di polvere»?