Cinema

I morti rimangono con la bocca aperta, film di resistenze sulle tracce dei partigiani

Il secondo titolo italiano inserito nel concorso Progressive Cinema alla 17ma Festa del Cinema di Roma è diretto da Fabrizio Ferraro

“Cosa ci dicono i morti e perché difficilmente ci mettiamo ad ascoltarli? Continuamente ci dicono qualcosa… anche di questo nostro presente, un Piano fisso bianco”. Se lo chiede la voce narrante de I morti rimangono con la bocca aperta di Fabrizio Ferraro, il secondo titolo italiano inserito nel concorso Progressive Cinema alla 17ma Festa del Cinema di Roma: un testo filmico diverso e “oltre” tutto quanto normalmente si vede al cinema. Perché Ferraro è sostanzialmente un artista che utilizza il cinema all’intento di un percorso audio-visivo polifonico, costituito da tante domande e poche risposte. Così avviene che “i morti” del titolo in realtà restano fuori campo, e il loro riflesso “vivente” dimori nei cinque personaggi del film che camminano senza soluzione di continuità sul un manto nevoso nel pieno inverno del 1944, sui monti Marsicani, allo scopo di fuggire dal nemico occupante. Evidentemente si tratta di partigiani, identità che attribuirebbe la definizione di quest’opera al cinema sulla Resistenza. “Preferisco chiamarlo film di resistenze, al plurale. Perché è stato girato in condizioni avverse sia climatiche – sotto le tormente di neve – che pandemiche: abbiamo rintracciato nella furia della Natura la sua coerenza interna, resistendo” spiega il cineasta che ha inserito questo suo nuovo lavoro in una serie artistica intitolata UNWANTED, gli indesiderati. “Questi non sono esterni a noi, ma sono coloro che sostengono e rendono vitale il nostro mondo. In questo caso furono i partigiani, sulle cui tracce ci siamo messi per ascoltarli”.

Resiliente oltre che resistente, I morti rimangono con la bocca aperta non si dona facilmente allo spettatore ma va conquistato, sequenza dopo sequenza, visivamente e sonoramente, anche con la consapevolezza che tutto quanto “accade” deve inscriversi nel Tempo delle attese tipico dell’esperienza di guerra. “Del resto il cinema – secondo Ferraro – resta uno strumento potentissimo perché ci aggancia al passato, che è ciò di cui noi nutriamo la vita: è infatti una vana illusione che viviamo il presente, l’istantaneo. Persino la luce che vediamo arriva dal passato, noi “viviamo in differita”. Per un film questa è la condizione vitale, mentre rincorrere la cronaca – che è fatta solo di chiacchiere – è il rischio del presente a cui ci sottopone la tv, che ci aggredisce di fronte, il cinema invece rincorre. Perché si vede veramente con le spalle alla luce: il film viene da dietro, noi ne vediamo il riflesso. Da sempre è così. Altrimenti diventa giornalismo filmato, il cinema è altro”.

Giunto più o meno a due terzi del suo percorso, il concorso Progressive Cinema sta dimostrandosi la vetrina eterogenea che era stata annunciata dalla direttrice artistica Paola Malanga. Tra le opere viste, da segnalare per qualità e interesse il dramma lettone-lituano January dell’appena 19enne Viesturs Kairiss che mette insieme l’amore per il cinema alle vicende storiche avvenute nel gennaio 1991, passate alla Storia come la “domenica di sangue” di Vilnius, in cui per mano sovietica morirono e furono ferite centinaia di lituani. Un film che benché girato ben prima dell’invasione russa in Ucraina ha evidenti echi con la triste cronaca. Dai toni di commedia sono invece lo spagnolo Ramona di Andrea Bagney, che compie un simpatico calco di traduzione spagnola di Manhattan di Woody Allen, e lo statunitense Raymond & Ray con il duo di star Ethan Hawke e Ewan McGregor, fratelli diversi impegnati a “sopravvivere” al funerale di un padre scomodo. Non per ultimo l’horror francese La Tour di Guillaume Nicloux che ballardianamente ci porta in un condominio alle prese con un feroce e misterioso “buco nero”.