Cultura

L’atto eroico di Birkenau come metafora di oggi: minacce per il futuro che nessuno vuole vedere

Il periodo preelettorale produce slogan vuoti ma accattivanti, tuttavia i reali indizi di quello che ci potremmo aspettare in base all’esito delle elezioni sono nei comportamenti di alcuni leader politici. Questi mostrano il loro vero volto quando si tratta di tutelare in concreto i diritti fondamentali.

Vorrei aiutare la riflessione riportando, con il permesso dell’autore, estratti da una pagina di Non ho visto farfalle a Terezin, di Rinaldo Battaglia. Vi si narra un atto eroico realizzato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau per portare la testimonianza delle atrocità perpetrate a causa di ideologie che affermano la superiorità di alcuni uomini su altri. Un aspetto che mi ha colpita nella narrazione è che questa vicenda appare come la perfetta metafora del momento attuale in cui, per prevedere e prevenire le oscure minacce per il futuro del nostro paese, ci sono segnali che molti non vogliono vedere.

“Nell’agosto ’44 (…) la Resistenza ebraica all’interno del lager, in particolare nella componente polacca, capì che serviva ancora di più per svegliare il mondo intero dal sonno imposto dal business del nazismo. Venne recuperata una piccola macchina fotografica, formato 6×6, peraltro con una pellicola in parte già usata. (…) Venne così in parte danneggiato un tetto di una delle camere a gas del Crematorio V, in modo da necessitare subito la sistemazione, incarico che, essendo oggetto di pericolo, per prassi era assegnato da sempre a squadre del Sonderkommando. La squadra come previsto fu subito mandata sul tetto, dopo che aveva nascosto la macchina fotografica dentro un secchio da lavoro.

Non ci è noto quanti componessero quella squadra e chi collaborò, ma di alcuni di loro sappiamo i nomi: Alex, un ebreo greco di cui non si sa il cognome, Szlojme Dragon, suo fratello Josel, Alter Szmul Fajnzylberg e Dawid Szmulewski. Si ritiene che sia stato il greco a scattare le quattro foto, anche quando fingeva di essere impegnato nella cremazione. Le foto ripresero le vittime sulla soglia della camera a gas e dopo quando i loro corpi vennero avvolti dal fumo della cremazione. Foto semplici, mute ma che parlano in modo assordante.

Prigionieri del Sonderkommando bruciano i corpi delle persone uccise nelle camere a gas in fosse collocate vicino alla camera a gas e al crematorio V ad Auschwitz II-Birkenau

La prima è molto sfocata, confusa, di certo il ‘fotografo’ era in preda alla tensione per il rischio suo e della sua mission. Si vede un po’ di luce e una parte della foresta di betulle che circondavano il lager (il nome Birkenau peraltro deriva dalla parola birke, betulla in tedesco). Forse è stata scattata rivolgendo l’obiettivo troppo verso l’alto. Nella seconda foto, invece si vede un gruppo di donne, costrette a spogliarsi prima di entrare nella camera a gas. Ovviamente il tutto è visto di traverso, ancora un po’ sfocato, non potendo il fotografo farsi scoprire. Ma si intuiscono bene i soggetti della foto.

Le altre due fotografie rimaste sono successive, si pensa di almeno 20 minuti, quando il fotografo uscì dal Crematorio V e con la macchina in mano, sempre ben nascosta, entrò nella camera, come gli ebrei del Sonderkommando dovevano fare dopo l’uso del gas, per il recupero dei corpi e ‘depredarli dell’ancora depredabile’. E qui vennero ripresi i cadaveri accatastati e il Sonderkommando in azione, come fanno di solito solo gli avvoltoi. Il messaggio delle quattro foto era così chiaro e rendeva evidente (…) il destino di chi arrivava ad Auschwitz.

Il rullino fu fatto quanto prima pervenire alla Resistenza polacca e da lì diretto a più città e persone impegnate nella lotta contro il nazismo. Ma lo sforzo di chi quel giorno rischiò la vita per ‘documentare al mondo’, in via visiva, quello che tutti coloro ‘che volevano sapere’ già sapevano, ebbe poco successo. Passò quasi inosservato e quasi sempre senza le dovute spiegazioni o didascalie, anche sulla cronologia delle singole quattro foto, che se prese a se stante rendono meno che nel loro ‘insieme’. Ma del resto se tutti i precedenti e ripetuti messaggi sulla Shoah non avevano riscosso interesse, non ci si può ora meravigliare dello scarso ‘appeal’ delle quattro foto in oggetto.”

Allora a non voler vedere la cruda realtà di quelle foto e delle altre testimonianze ottenute a rischio della vita furono i potenti del mondo. Oggi, spesso, a sottovalutare i segnali siamo anche noi.

“Non ho visto farfalle a Terezìn” di Rinaldo Battaglia, ed. AliRibelli – 2021, da cui sono tratti i brani virgolettati