Politica

Se vincerà la destra, i vertici Pd dovrebbero dimettersi in blocco. Ma non accadrà mai

Se i sondaggi hanno un valore, il 25 settembre stravincerà la destra. E se la politica avesse un valore, il giorno dopo il gruppo dirigente del Pd dovrebbe dimettersi in blocco. Perché delle due l’una: o la destra non riuscirà ad ottenere la maggioranza assoluta delle Camere; oppure tutti coloro che hanno imposto la svolta democristiana del Pd dovranno chiedere scusa agli italiani e ritirarsi a vita privata (Nanni Moretti lo chiese a Letta & C. già venti anni fa dal palco di Piazza Navona).

Sappiamo bene che questo non accadrà mai. Se il peggio dovesse davvero accadere – se insomma la destra dovesse avere i numeri per stravolgere la Costituzione, asservire la Giustizia, ribaltare le Istituzioni e ricollocare l’Italia in Europa a fianco dell’Ungheria – loro si difenderanno come hanno sempre fatto: dando la colpa ad altri e sopravvalutando la forza degli avversari. E rimanendo al proprio posto!

Che poi – quella di conservare il proprio seggio – è il loro vero e forse unico obiettivo. D’altra parte, se avessero davvero a cuore il destino del Paese, avrebbero già da tempo provato a riflettere su un dato di fatto che non mi sembra sia stato finora adeguatamente enfatizzato: non è vero che l’Italia è destinata ad andare a destra.

Certo: una coalizione che chiede consensi in funzione di parole d’ordine quali meno tasse, stop immigrazione, sì al nucleare, più armi, più dentiere gratis, più religione, ecc… qualche voto è destinata a prenderlo. Ma quanti? Nel 1994 i voti alla Camera per il centrodestra furono 16 milioni e mezzo. Nel 2018 – nonostante un incremento della popolazione di oltre due milioni di unità – furono 12 milioni. Quanti saranno i voti del 2022? Io non credo che i consensi conquistati dalla destra quattro anni fa verranno incrementati di molto. E’ invece più realistico immaginare che quel bacino di consensi verrà confermato. A quel punto la vittoria schiacciante sarà attribuibile non tanto alla forza della destra, ma alla debolezza degli avversari e alla loro indisponibilità ad offrire all’elettorato una alternativa vera, seria e credibile; alla loro capacità di generare delusione e sconcerto. E astensione.

Si dirà (per la serie che le colpe sono sempre di altri): la colpa è di Conte che ha interrotto la mitica esperienza del governo Draghi. Niente di più stupido! Innanzitutto perché chiunque sia minimamente informato sulla reale dinamica degli eventi che hanno portato alla chiusura anticipata della legislatura sa che il primo a volersene andare da Palazzo Chigi – fin dal dicembre scorso – era proprio Draghi. In secondo luogo perché la maggioranza degli italiani, checché ne pensino i dirigenti Pd, non è per nulla felice dei risultati ottenuti da questo governo.

Ma proviamo a ragionare per assurdo. Ipotizziamo pure che Draghi volesse rimanere al suo posto, che Conte avesse evitato di disturbare il manovratore e che, a quel punto, anche Salvini e Berlusconi non avessero più avuto una buona scusa per portarci subito al voto: qualcuno è davvero convinto che a marzo 2023 la destra avrebbe avuto meno opportunità di vittoria rispetto a quelle di settembre 2022?

Torniamo dunque al punto di partenza: la qualità e l’efficacia della proposta alternativa che il Pd è in grado di offrire all’elettorato. Letta sembra convinto che esaltare Draghi, denigrare Conte, imbarcare Di Maio, Brunetta e Gelmini, perdonare Renzi e allearsi con Calenda pur lasciando uno strapuntino a Speranza e Fratoianni possa offrire le migliori possibilità di successo? Auguri! E auguri anche per la stesura del programma che potrà essere condiviso solo in due modi: o lo scriveranno in modo talmente astratto ed evanescente da andar bene a tutti; o avranno il coraggio di dire chiaro e tondo che su alcuni punti qualificanti hanno visioni opposte.

Ci sarebbe una terza possibilità: quella per cui, con un gesto di grande generosità verso le new entry, la stesura del programma venisse delegata proprio a loro: a Brunetta il capitolo sulla Pubblica Amministrazione; alla Gelmini l’Istruzione; a Calenda il nucleare; a Renzi l’abolizione del reddito di cittadinanza; a Casini e Di Maio la riforma elettorale. Sull’economia e le spese militari sembra già condiviso il programma draghiano: più impresa e più spese militari.

Se così fosse, il programma potrebbe essere scritto a chiare lettere e apertamente condiviso da tutti. Ma a quel punto mi chiedo: perché non copiarlo direttamente dal centro-destra (dentiere incluse)?