Società

Sistema sanitario nazionale: per ricostruirlo è necessario partire dalla medicina del territorio

La disorganizzazione sanitaria non può più permettersi di porre i cittadini di fronte a emergenze sanitarie come quelle che abbiamo avuto in questi due anni di pandemia. Ci sono troppi fili scoperti da sostituire, perché ormai ricoprirli come è stato fatto più volte non porterebbe a un miglioramento dell’assistenza. Prima bisogna ripartire dall’università e dalle scuole di specialità. Bisogna liberarle, almeno fino a quando non si coprono le esigenze di carenza medica. Farei degli studi di territorio da variare periodicamente per assegnati numeri di accesso: se mancano pediatri al sud apriremo più posti di pediatria. Un sistema simile ai notai con numeri ovviamente maggiori.

Basilare, secondo me, per ricostruire un Sistema Sanitario Nazionale che è stato considerato fra i migliori al mondo, è partire dalla medicina del territorio. Orari limitati, segreterie telefoniche e segretarie che nell’emergenza del primo accesso non hanno più senso. Case di continuità come centri intermedi inutili fra lo studio del medico del territorio e gli ospedali. Strutture costose che divengono doppioni senza capo né coda.

Partiamo dagli orari. Variano molto tra i massimalisti e quelli che si “accontentano” di non esserlo: non è più possibile. Devono essere disponibili almeno quanto gli ospedalieri.

I medici di base devono tornare a fare i medici, come dico da anni, devono essere dipendenti statali, non più liberi professionisti convenzionati. Devono “aggregarsi” come i medici specialistici in reparti ospedalieri di primo filtro. Nulla a che vedere con le case di continuità che non hanno e non possono avere tutte le apparecchiature e tutti i colleghi specialisti per una diagnosi completa nel caso serva. Non buttiamo tanti soldi come abbiamo fatto a Milano con la rianimazione nei padiglioni della fiera, anche se con soldi donati. Le case di continuità sono la stessa cosa. Cattedrali nel deserto.

Siamo così sicuri di utilizzare 235 milioni, che prima o poi dovremo restituire, per costruire “case” come la rianimazione nei padiglioni della fiera di Milano avulsi da qualunque logica di diagnosi immediata per il bene del cittadino? Quanto invece aiuterebbe la medicina del territorio se fosse strutturata negli ospedali dove la medicina d’urgenza è in grave carenza in tutta Italia? 4200 medici mancanti potrebbero essere sostituiti da turni di medici del territorio 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come ogni medico di reparti specialistici è abituato a fare. Se credono possono poi avere il loro studio mutualistico per le restanti ore o per straordinari remunerati.

Importantissima questa ridistribuzione della medicina del territorio presso gli ospedali e non in case di continuità, inutili soprattutto a causa del fatto che gli accessi ai pronto soccorso sono aumentati del 20%, che in abbinamento alla mancanza di medici d’urgenza hanno fatto andare in tilt il sistema. Ripeto, organizziamo la medicina del territorio che sia dipendente statale presso spazi ospedalieri a contatto con gli specialisti per supportarli e per fare quel primo filtro indispensabile anche per liberare spazi alle emergenze reali da destinare il più presto possibile alle cure specialistiche. I pronto soccorso funzioneranno meglio e saranno più velocemente disponibili. Il tutto senza pensare che più menti riducono il rischio di errore, che è una delle cause dell’allontanamento dei medici dall’emergenza a causa del rischio denuncia.

Il 25 settembre abbiamo la speranza (con la s minuscola) che possa esserci finalmente un nuovo ministro della salute che sia disponibile ad ascoltare e a fare più per la parte pubblica del nostro sistema che privata accreditata. Un ministro che pensi alle prossime generazioni e non alle prossime elezioni. Un ministro che sia onesto fra gli onesti perché la parola “ho sbagliato” non cada in desuetudine. Dovrà essere un medico onesto che porti il timone in modo da farci uscire dall’oceano in tempesta e approdare in porti sicuri.