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Shinzo Abe, la carriera politica dell’ex premier ucciso: dall’Abeconomics al ritiro durante la pandemia. Quando disse: “Chiedo scusa”

Laureatosi in scienze politiche all'università di Nagato nel 1977, successivamente aveva continuato i propri studi negli Usa. Eletto al parlamento per la prima volta nel 1993, era stato vicesegretario del Partito liberaldemocratico dal 2000 al 2003 e poi segretario capo nel gabinetto Koizumi nel 2005, dopo le dimissioni di quest'ultimo era stato eletto presidente del Partito liberaldemocratico e nel settembre del 2006 primo ministro del Giappone

Nel 2020 dopo otto anni aveva lasciato l’incarico per troppo stress e problemi di salute dopo essere diventato a 52 anni, nel 2006, il più giovane capo di un esecutivo giapponese dal dopoguerra e aver battuto il primato di premier più longevo di sempre. Shinzo Abe, 67 anni, ferito a morte durante un comizio elettorale a Nara, aveva gettato la spugna e si era dimesso. I quasi 2.800 giorni consecutivi trascorsi a capo del governo di Tokyo non avevano fatto sconti al leader 65enne. “Non sono più nelle condizioni di rispettare il mandato del popolo e per questo motivo rimetto l’incarico. Chiedo sinceramente scusa“, aveva detto Abe nel corso di in una diretta televisiva, visibilmente emozionato, inchinandosi al destino dopo quasi 8 anni al potere e nel mezzo dell’emergenza sanitaria del Covid.

Tornato al potere nel 2012 dopo un breve mandato cinque anni prima, il premier aveva dichiarato di aver sconfitto la malattia grazie ad un nuovo farmaco. Gli anni successivi sono coincisi con il lascito più rappresentativo della sua amministrazione: l’iniziativa denominata ‘Abenomics‘ per sollevare il Paese dalla decennale depressione economica, formata da una politica monetaria ultra espansiva con l’obiettivo di sconfiggere la deflazione e il progressivo aumento della spesa pubblica. Fattori che avrebbero creato i presupposti per la successiva svalutazione dello yen, favorendo le esportazioni giapponesi. Criticato per un approccio lento e confuso nella gestione dell’emergenza sanitaria, il livello di approvazione di Abe era precipitato ai minimi storici. Sul piano interno il premier conservatore non er riuscito a completare il progetto di revisione della costituzione pacifista, un’inclinazione mai sopita della dottrina nazionalista coltivata da Abe, che aveva riguardato anche le precedenti generazioni di politici all’interno della famiglia del premier, tra cui il nonno materno, Nobusuke Kishi.

Laureatosi in scienze politiche all’università di Nagato nel 1977, Abe successivamente aveva continuato i propri studi negli Usa. Eletto al parlamento per la prima volta nel 1993, era diventato poi nel 1999 direttore della divisione degli affari sociali del Partito liberaldemocratico. Vicesegretario di governo dal 2000 al 2003 e poi segretario capo nel gabinetto Koizumi nel 2005, dopo le dimissioni di quest’ultimo è stato eletto presidente del Partito liberaldemocratico e nel settembre del 2006 primo ministro del Giappone. Dimessosi nel settembre 2007, ha assunto nuovamente la carica di premier dopo le consultazioni anticipate tenutesi nel dicembre 2012 a seguito delle dimissioni del primo ministro e leader del Partito democratico Noda

I suoi dieci mesi da premier nel 2006 erano stati costellati da una lunga serie di scandali e gaffe soprattutto per dichiarazioni inopportune dei suoi ministri per esempio su Cina, Olocausto nucleare. Ma è nel marzo del 2007 che scoppia lo scandalo delle cosiddette ‘donne di conforto’, prigioniere cinesi e coreane costrette a prostituirsi dalle truppe nipponiche d’occupazione negli anni Trenta: negli Stati Uniti il congresso prepara una risoluzione, poi approvata, che chiama il Giappone a scuse ufficiali, mentre il premier Abe e il ministro degli Esteri Taro Aso vengono criticati da più parti per una serie di ritrattazioni ambigue sull’argomento, senza peraltro giungere a una posizione chiara. Nel maggio del 2007 si scopre che dalla Previdenza Sociale sono ‘scomparsi’ milioni di contributi per un valore che sfiora i 100 miliardi di yen (oltre 600 milioni di euro): pur essendo un problema causato dalle precedenti amministrazioni, l’opinione pubblica si dimostra inferocita con la classe dirigente e i sondaggi registrano un consenso popolare in caduta libera.