Diritti

Aborto, non solo Usa: il diritto in pericolo anche in Europa. Malta, Polonia, Ungheria: la classifica degli Stati peggiori

L'Atlante delle politiche europee sull'aborto del 2021 mostra le condizioni eterogenee a seconda degli Stati. Buone notizie da parte dei Paesi nordici. Italia al 16esimo posto

Il diritto all’aborto in pericolo, ma non solo negli Stati Uniti. Negli ultimi giorni i media internazionali si sono concentrati sugli Usa, dopo che la Corte Suprema ha revocato la sentenza del 1973 sul caso Roe v. Wade e cancellato il diritto a decidere di interrompere la propria gravidanza. Ma anche la situazione in Europa merita un’attenzione specifica: l’Atlante delle politiche europee sull’aborto, elaborato nel 2021 dall’European Parliamentary Forum (EPF), mostra una situazione eterogenea in tutto il continente. E, si legge nel report, i dati dimostrano che “l’Europa non è così progressista come potrebbe sembrare“.

A causa della profonda diversità tra le nazioni, l’EPF for Sexual and Reproductive Rights ha stilato una classifica assegnando a 53 paesi del continente europeo un punteggio da medio a eccezionalmente basso e ha preso in considerazione anche i Paesi del vecchio continente che non fanno parte dell’Unione europea, tra cui Russia, Turchia, Islanda e Ucraina. La classifica mostra chiaramente che sono 21 i Paesi, i cui sistemi sanitari nazionali trattano l’aborto come qualsiasi altro servizio medico, mentre in ben 31 l’aborto non è incluso nella copertura finanziaria del sistema sanitario nazionale e in 16 l’aborto viene regolato dal codice penale: in 14 l’aborto rimane tecnicamente un reato e in diversi casi le donne sono state costrette a viaggiare all’estero.

I peggiori Paesi in materia di aborto A conferma del fatto che l’Europa non sia così progressista come può sembrare, il fatto che ad occupare gli ultimi gradini della classifica ci sono, tra gli altri: Malta, Liechtenstein, Monaco, Polonia, San Marino, Ungheria, Slovacchia e Turchia. Il peggiore in assoluto è Malta, terra di alcune delle leggi anti-aborto più severe al mondo: è l’unico paese dell’Ue a vietare completamente l’interruzione volontaria della gravidanza, senza eccezioni. La criminalizzazione dell’aborto è radicata nella legge coloniale britannica, stabilita sull’isola dal XIX secolo. Non poche le turiste che per poter abortire, hanno dovuto abbandonare l’isola, seppure in condizioni molto gravi. Nel 2017 una donna fu trasferita in Francia, da ultima Andrea Prudente, la cittadina statunitense incinta che ha avuto un’emorragia e il distacco della placenta mentre era in vacanza a La Valletta. A Malta l’aborto è vietato in ogni sua forma, anche nei casi di stupro, incesto, anomalie del feto o rischi per la salute della madre. Il medico che aiuta una donna a interrompere la gravidanza rischia fino a 4 anni di carcere e il ritiro definitivo della licenza. La donna che abortisce rischia invece fino a 3 anni di carcere. Tanto è vero che i sanitari maltesi hanno negato a Prudente di interrompere la gravidanza nonostante le complicazioni avute alla sedicesima settimana di gestazione. Il feto dicono i medici, non ha più la possibilità di svilupparsi, ma fino a quando continua ad esserci battito cardiaco, la legge vieta di intervenire. La donna è stata quindi trasferita in Spagna dove potrà interrompere la sua gravidanza.

Insieme a Malta, la Polonia è lo stato dell’Unione europea con la legislazione più restrittiva in materia. L’interruzione di gravidanza infatti, è consentita solo in caso in cui la donna incinta rischi la vita oppure se la gravidanza deriva da uno stupro. Il 27 gennaio 2021 è entrata in vigore la sentenza pronunciata dal Tribunale costituzionale della Polonia che ha reso impossibile l’accesso all’aborto in quasi tutte le circostanze (comprese le gravi malformazioni genetiche del feto). La situazione è molto simile nell’Ungheria di Orban: l’interruzione di gravidanza è possibile fino alla dodicesima settimana, ma prevede un lungo iter di colloqui e iter che, denunciano le associazioni, hanno il solo scopo di disincentivarlo.

In fondo alla classifica compare ancora la Repubblica di San Marino, anche se a fine settembre scorso è passato il referendum di iniziativa popolare per l’abolizione del reato e nei mesi successivi lo Stato si è dovuto adeguare. Tra gli Stati peggiori infine c’è naturalmente la Turchia. La legislazione consente l’aborto fino alla decima settimana di gestazione a patto di soddisfare uno dei seguenti casi: minaccia alla salute psico-fisica della donna, menomazione psico-fisica del feto, stupro o incesto, giustificati motivi di ordine economico-sociale. Ma se la donna è sposata, per poter procedere con l’interruzione di gravidanza, serve il consenso del marito (come ad esempio Emirati Arabi e Arabia Saudita).

I miglioriBuone notizie sul diritto ad interrompere la propria gravidanza arrivano invece, da parte di Svezia, Islanda, Regno Unito e Olanda che occupano i primi quattro posti nella classifica. Ma anche da parte della Francia che si posiziona al quinto, della Spagna al 14esimo e della Germania, a metà classifica. In Svezia, ad esempio, non esistono nemmeno i medici obiettori: qui la legislazione non contempla la scelta di rifiutarsi, per motivi etici o religiosi, di assistere una donna che abbia scelto un’interruzione di gravidanza o di prestare un servizio previsto dalla legge e i sanitari che lo fanno rischiano il licenziamento. Lo stesso vale per la Finlandia, dove l’obiezione di coscienza non è riconosciuta dal sistema sanitario e dalla normativa. In Islanda la legge consente l’aborto anche dopo le sedici settimane in caso di anomalie nel feto, inclusa la sindrome di Down. Molto simile la situazione del Regno Unito, in cui l’aborto è legale fino alla 24esima settimana, tranne quando il proseguimento della gravidanza è pericoloso per la salute fisica o mentale della madre, o nei casi in cui il bambino “soffra di anomalie fisiche o mentali oppure sia gravemente disabile”.

La situazione in ItaliaNella graduatoria l’Italia si è posizionata su un gradino medio-alto e occupa il 16esimo posto. Dietro la Macedonia del Nord, Grecia e Spagna. Il punteggio legato allo stato giuridico dell’aborto è valutato 12 punti per l’Italia su un massimo di 15, l’accesso alla possibilità di aborto è 37 su un massimo 45 punti, mentre sull’assistenza clinica e i servizi offerti il punteggio totalizzato è 14 su 30. Sull’informazione in merito ai servizi ha guadagnato 4 punti su 10. L’Italia si è posizionata tra i 19 paesi più progressisti sul tema, ma dove le donne devono rispettare requisiti non necessari dal punto di vista medico prima di accedere all’aborto e tra i 18 paesi che non forniscono informazioni chiare e accurate sulla cura dell’aborto. Inoltre l’Italia è tra i 26 paesi in cui viene consentito agli operatori sanitari di negare l’assistenza sulla base delle proprie convinzioni personali. Proprio l’obiezione di coscienza (67% dei ginecologi) è considerata un grosso ostacolo in Italia e ci sono strutture dove per le donne non è possibile procedere con l’interruzione di gravidanza per mancanza di personale.