Fatti a motore

Stop a benzina e diesel, politica divisa e filiera automotive pronta a incontrare il governo

Già da qualche giorno è acceso il dibattito riguardo la votazione del paramento europeo sul bando ai motori endotermici. Gli operatori del settore vorrebbero esprimere le loro perplessità direttamente all'esecutivo, il quale sembra tuttavia diviso riguardo agli orientamenti. Alle dichiarazioni pro-bando del ministro delle Infrastrutture Giovannini fanno da contraltare posizioni più critiche dei ministri Giorgetti e Cingolani, titolari rispettivamente dei dicasteri di Sviluppo Economico e Transizione Ecologica, intervenuti oggi sull'argomento in diversi contesti

Sta facendo discutere la decisione del parlamento europeo di mettere al bando i motori termici entro il 2035: i rappresentanti della filiera italiana dell’auto vorrebbero incontrare i vertici di Governo per esprimere il loro dissenso in merito e, ancora una volta, indicare quella della neutralità tecnologica come strada maestra nel processo di decarbonizzazione della mobilità. Peraltro, il bando in questione crea disaccordo anche nella compagine governativa: “Come Italia crediamo il 2035 sia una data ragionevole per lo stop di auto a diesel e benzina. E’ una sfida complessa, e dobbiamo dotarci della capacità di vincerla”, aveva dichiarato pochi giorni fa il ministro delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili Giovannini, mentre le opinioni di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico e di Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, intervenuti oggi sull’argomento in diversi contesti, sono di tutt’altro avviso.

“Le normative europee generano elementi di preoccupazione”, ha detto Giorgetti intervenendo al convegno “Ricerca e innovazione, il futuro della mobilità”, organizzato nell’ambito del Milano Monza Motor Show 2022. “Il governo ha delle perplessità – e le ha espresse alla Cop26 – sull’ineluttabilità della fine del motore endotermico. Noi difendiamo la neutralità tecnologica”. Il ministro ha quindi ribadito la necessità di valutare pure le tecnologie alternative all’elettrico e di considerare l’impatto ambientale di un veicolo basandosi non solo sulle emissioni di CO2 prodotte allo scarico ma anche – e più coerentemente, a dire il vero – sulla valutazione dell’intero ciclo di vita del prodotto (Life cycle assessment).

“Nessuno è contrario alla transizione, all’ambiente e all’evoluzione, ma il voto dell’8 giugno è un macigno: spaventa l’approccio mono-tecnologico, anche perché l’Europa non ha le competenze e non controlla la filiera dell’elettrico, al contrario di alcuni Paesi asiatici”, ha spiegato al suddetto convegno il presidente dell’Anfia, Paolo Scudieri, che ha pure sottolineato l’importanza di tecnologie come biocarburanti e idrogeno per abbattere le emissioni generate dal settore auto.

Posizione allineate con quelle del ministro Cingolani, intervenuto oggi al Senato: “Abbiamo 12 milioni di veicoli ‘non Euro 6’, da Euro 0 a Euro 4, su un parco di circa 40 milioni, questo solo in Italia. È evidente che incentivare il passaggio di questi autoveicoli a Euro 6 o ibrido in questo momento ha un ottimo effetto dal punto di vista della decarbonizzazione, ancor più che cambiare, caso mai, l’Euro 6 in elettrico, per chi se lo può permettere, tenuto conto anche dei costi”.

Un problema ambientale che, però, finisce per toccare anche gli interessi dei vari Paesi comunitari: “Capite bene che 27 Stati membri, tra cui tre-quattro sono grandi produttori (fra questi noi) e altri sono compratori, hanno anche istanze diverse. Noi abbiamo dovuto trovare un compromesso a livello internazionale, perché Francia, Germania e Italia, che hanno una grande filiera, hanno parlato di 2035 per le auto e 2040 per i furgoni”, ha spiegato il ministro, sottolineando poi che “quelli che non costruiscono e comprano, volevano in alcuni casi il passaggio all’elettrico nel 2027-2028, perché è chiaro che per loro è quasi controproducente prolungare. Si tratta, insomma, di una situazione complessa – è inutile nasconderselo – nella quale bisognerà trovare dei compromessi”.

Esiste, inoltre, come sottolineato anche dal Fatto Quotidiano a più riprese, un problema di scarsa disponibilità di energia rinnovabile: “Anche se ci regalassero un’auto elettrica, in questo momento non potremmo ricaricare le batterie a elettricità rinnovabile. Tecnicamente è necessario far crescere l’offerta di energia rinnovabile verde contestualmente alla domanda di sistemi che utilizzano tale energia. L’elettricità verde sta crescendo molto rapidamente e comunque è questione di qualche anno”.

Per Cingolani, comunque, la tecnologia che attualmente rappresenta il miglior compromesso fra sostenibilità[UW1] ambientale e industriale è rappresentata dall’ibrido: “Ricordiamoci che c’è un passaggio intermedio, di ibride e ibride plug-in, che nell’automobilismo rappresenta un po’ l’anello di congiunzione darwiniano fra l’uomo e la scimmia e che in questo momento dovrebbe essere valorizzato per abbassare la CO2 prodotta per chilometro”. Ma in ballo c’è anche il rischio che, sposando la strategia del solo elettrico, si finisca per diventare troppo dipendenti dalla Cina: “Vorrei far notare che il principio di neutralità tecnologica, e noi su questo stiamo spingendo moltissimo, ci suggerisce due cose. In primo luogo, attenzione a non cadere in mano a un mercato che non è nostro, quindi attenzione a che il parco non sia tutto quanto basato su di esso, in modo da non essere schiavi di altri mercati. Stiamo combattendo per i carburanti sintetici, perché è un modo per ricondizionare un comparto del petrolchimico, che deve trovare strade verdi. Con i biocarburanti si decarbonizza fra il 60 e il 90%, a parità di motore”.

L’istanza che il Governo ha intenzione di portare avanti nell’ambito delle trattative interistituzionali europee sembra dunque delinearsi: “Insisteremo e faremo valere le nostre idee con i numeri e facendo vedere che la transizione giusta non è solo basata sui grammi di CO2 per chilometro, ma anche su quanta manodopera e quanto modello riusciamo a riconvertire, abbassando la CO2. Nessuno sta discutendo il target del 55% al 2030 o altro, stiamo discutendo su come arrivarci con la neutralità tecnologica. Credo, quindi, che questi saranno gli argomenti che dovrebbero consentirci di dire la nostra a Bruxelles. È una battaglia complessa, come lo era quella per il price cap sul gas, per essere molto chiaro. Faremo del nostro meglio e il prossimo Consiglio dei ministri sarà l’occasione per ribadire l’esigenza di adottare soluzioni di compromesso e di salvaguardare il principio di neutralità tecnologica”.

“Pur se la Plenaria del Parlamento europeo ha confermato gli obiettivi di riduzione delle emissioni proposti dalla Commissione, la discussione sugli stessi resta comunque ancora assolutamente centrale in seno al Consiglio, e sarà oggetto di negoziato in occasione del Consiglio dei Ministri dell’ambiente del prossimo 28 giugno”, ha detto nei giorni scorsi il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà: “L’azione di governo, pertanto, sarà indirizzata verso soluzioni di compromesso, che consentano di mantenere elevato il livello di ambizione della proposta di riduzione delle emissioni e, al contempo, di salvaguardare il principio di neutralità tecnologica, garantendo le opportune flessibilità, al fine di accompagnare il necessario percorso di transizione della filiera produttiva. Sottolineo che è in corso un dialogo continuo sia con la Commissione europea che con la Presidenza francese”.