Lavoro & Precari

Un discutibile regolamento del ministero di Giustizia impedisce ai sindacati l’azione di classe

di Lorenzo Fassina *

In base alla nuova disciplina della “class action” (strumento introdotto nel 2019 dalla legge n. 31 e ripetutamente rinviato nella sua entrata in vigore sino allo scorso anno) le associazioni e organizzazioni senza scopo di lucro possono proporre un’azione di accertamento delle responsabilità nei confronti di imprese o di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità a tutela di “diritti individuali omogenei” (art. 840-bis c.p.c.), ovvero un’azione inibitoria di atti e comportamenti posti in essere “in pregiudizio di una pluralità di individui o enti” (art. 840-sexiesdecies c.p.c.).

A ben vedere, non sembra possano esserci dubbi sul fatto che tra le associazioni di cui si parla debbano essere ricomprese la organizzazioni sindacali. Ciononostante il regolamento ministeriale che stabilisce i requisiti per l’iscrizione all’albo speciale del ministero di Giustizia degli enti abilitati a promuovere azioni di classe, adottato con d.m. 17 febbraio 2022 n. 27, esclude le organizzazioni sindacali. L’effetto derivante dalla mancata inclusione dei sindacati è quello di inibire a queste organizzazioni la facoltà di promuovere azioni concrete ed efficaci di politica giudiziaria a carattere collettivo per tutte le controversie in cui si discuta di lesioni di diritti omogenei per contenuto (si pensi, per fare un solo esempio, alla difficoltà che sempre incontra la giurisprudenza nell’ammettere la legittimazione ad agire del sindacato per far valere la violazione della parte normativa del contratto collettivo).

L’esclusione impedisce, pertanto, al sindacato di agire in materia di lavoro e non solo, per ottenere risarcimenti generalizzati a fronte di inadempienze (840 bis c.p.c.) e per ottenere provvedimenti inibitori che impediscano il prodursi di ulteriori danni ai lavoratori con l’ottenimento di misure efficaci atte ad eliminare gli effetti delle inadempienze (840 sexiesdecies c.p.c.). L’azione inibitoria, ad esempio, consente di raggiungere il medesimo risultato pratico in un numero potenzialmente ampio di casi e, in particolare, di ottenere ordini di cessazione di condotte ritenute lesive di una pluralità di interessi omogenei e di rimozione degli effetti pregiudizievoli, il tutto accompagnato dalla possibilità di avvalersi della prova statistica, delle presunzioni semplici e, specialmente, di accedere finalmente all’art. 614-bis c.p.c. che opera espressamente “anche fuori dai casi ivi previsti”.

La questione, quindi, è assai delicata perché c’è il concreto rischio che il decreto possa mettere in discussione l’utilizzo della class action da parte del sindacato e – ancor più gravemente – possa escludere la materia del lavoro dal novero delle cause collettive esperibili, con pesanti riflessi anche sull’attuale contenzioso già in atto (ad esempio sui rider).

L’esclusione appare obiettivamente irragionevole e illegittima, in quanto la fonte legislativa e il codice di procedura civile non consentono tale delimitazione che va ben oltre una verifica di serietà e solidità degli enti ammessi alla class action. L’art. 840 sexiesdecies, infatti, ha una portata pressoché illimitata e ben più ampia del decreto, in quanto identifica “le organizzazioni e o le associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela degli interessi pregiudicati dalla condotta”. In tale previsione, come è del tutto evidente, è ricompreso anche il sindacato che agisce statutariamente per la tutela degli interessi dei lavoratori di una determinata categoria. Né questa menomazione dell’azione giudiziaria del sindacato può essere evitata con l’uso dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, che ha una diversa portata a tutela del sindacato piuttosto che di interessi omogenei dei lavoratori.

La forte restrizione effettuata dalla norma regolamentare si pone, pertanto, in netto contrasto con la legge del 2019, con il principio antidiscriminatorio desumibile dall’art. 3 Cost., nonché con il diritto di azione stabilito dall’art. 24 Cost. e dalle fonti internazionali, in particolare dall’art. 6 Cedu (come peraltro ritenuto dalla giurisprudenza di Cassazione) che tende ad estendere il diritto di azione ai soggetti superindividuali nelle azioni di carattere collettivo.

Infine non dobbiamo dimenticare che l’emendamento 146 contenuto nel Draft Report relativo alla Proposta di Direttiva Ue sul lavoro tramite piattaforma modifica il secondo paragrafo dell’art. 14 della proposta come segue: “I sindacati o i rappresentanti delle persone che lavorano su piattaforme hanno anche il diritto di agire per conto o a sostegno di più persone che lavorano su piattaforme”. Una ragione in più per impugnare il decreto del ministero di Giustizia affinché esso venga annullato dal Tar.

*Responsabile Ufficio giuridico e vertenze CGIL nazionale