Politica

Dell’Utri, Cuffaro e gli endorsement: 30 anni dopo le stragi in Sicilia per vincere serve ancora il sostegno dei condannati per fatti di mafia

L'ex senatore di Forza Italia e l'ex governatore sono tornati a giocare un ruolo di primo piano sullo sfondo di alleanze e coalizioni. Condannati in via definiva per concorso esterno e favoreggiamento a Cosa nostra, i due hanno scontato la loro pena e dunque hanno tutto il diritto a dire come la pensano su comunali e regionali. Il problema è che le loro opinioni sono talmenti ascoltate che cambiano le scelte dei partiti. O quelle dei candidati. E' il caso di Lagalla, uno dei cinque aspiranti sindaci del centrodestra, che ha poi unito tutta la coalizione sul suo nome dopo le parole positive dello storico braccio destro di Berlusconi. O di Musumeci, che punta a una ricandidatura e di recente ha incontrato lo stesso ex senatore

“Il pane si fa con la farina che si ha in casa”. Era il 2012 e Nello Musumeci rispondeva così ai cronisti che gli facevano notare il numero di candidati sotto inchiesta – i cosiddetti “impresentabili” – che affollavano le liste a sostegno della sua corsa a governatore. Lui, uomo di destra e volto della legalità di uno schieramento spesso finito tra le polemiche per motivi di natura giudiziaria, allargava le braccia. D’altra parte aveva ben chiaro quale fosse il problema: nel 2006 si era già candidato alla presidenza della Regione, dopo aver rifiutato di entrare nella coalizione che sosteneva Totò Cuffaro, in quel momento a giudizio per favoreggiamento a Cosa nostra. Come è noto Cuffaro vinse, battendo clamorosamente Rita Borsellino. Musumeci arrivò terzo e poi – nel 2012, quando Cuffaro era ormai un detenuto – venne sconfitto di nuovo: il centrodestra correva spaccato e a vincere le regionali in Sicilia era stato Rosario Crocetta. Per realizzare quello che era il suo sogno, Musumeci avrebbe dovuto attendere altri cinque anni: nel 2017 è stato eletto governatore, sostenuto da un centrodestra compatto e anche questa volta composto da alcuni candidati noti alle procure. Musumeci ha di nuovo allargato le braccia, citando ancora una volta quella frase sul pane e la farina. Il suo mandato alla guida della Sicilia è corso via tra qualche infortunio sulla gestione del Covid da parte dei suoi fedelissimi e un record: dagli anni ’90 è il primo governatore che non finisce sotto inchiesta durante la sua amministrazione. Forse consapevole di questo primato Musumeci sta cercando in tutti i modi di farsi ricandidare.

Le frasi di Borsellino – E’ per questo motivo che qualche giorno fa è salito a Milano per partecipare alla convention di Fratelli d’Italia, l’unico partito che lo sostiene ma al quale non ha formalmente mai aderito. Da tempo, infatti, il governatore ha creato un suo movimento che si chiama “Diventerà bellissima“, un nome preso in prestito da Paolo Borsellino. “Un giorno questa terra diventerà bellissima“, diceva il magistrato che votava per il Movimento sociale e per questo motivo è diventato un simbolo della destra. Un simbolo al quale Musumeci dice di tenere parecchio. E infatti alla convention di Fratelli d’Italia ci ha tenuto a ricordare che il suo movimento “s’ispira a una frase di Borsellino“. E visto che il trentesimo anniversario delle stragi di Capaci e via d’Amelio è vicino, il governatore ha voluto ricordare pure che “Falcone e Borsellino sono ancora un riferimento per i giovani”. La platea di Fdi ha applaudito. E pazienza se Borsellino ha detto anche altro. Per esempio ha detto che “i partiti politici non devono soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati”.

L’incontro con Dell’Utri – Ecco questa citazione a Musumeci evidentemente deve essere sfuggita. Non si spiegano altrimenti le ultime mosse del governatore, alla spasmodica ricerca di farina per infornare il pane della sua ricandidatura. Nelle ultime settimane, infatti, è stato avvistato all’hotel des Palmes, lo storico albergo nel cuore di Palermo che tutti chiamano semplicemente “le Palme. E’ lì che Marcello Dell’Utri ha fissato il suo quartier generale. Ed è lì che lo storico braccio destro di Silvio Berlusconi ha incontrato Musumeci. Raccontano i retroscena che il governatore abbia chiesto a Dell’Utri d’intercedere con Berlusconi, visto che Gianfranco Miccichè – lo storico viceré di Forza Italia sull’isola – non è intenzionato ad appoggiarlo. Pare che Dell’Utri si sia messo a disposizione: ha chiamato Berlusconi e gliel’ha passato al telefono. Su questi retroscena Musumeci non ha avuto niente da dire. Dell’Utri, invece, sì: li ha confermati quasi integralmente, sostenendo però di aver parlato “solo di libri” col governatore. In pochi ci hanno creduto. Anche perché da settimane l’ex senatore è tornato a giocare un ruolo nella politica siciliana. E’ stato il primo, per esempio, a indicare in Roberto Lagalla il candidato ideale per fare il sindaco di Palermo.

Le amicizie cambiano, i legami no – L’ex rettore dell’università di Palermo non è esattamente un volto nuovo della politica: è stato assessore regionale alla Formazione con Musumeci e prima ha guidato il potentissimo assessorato alla Sanità ai tempi di Cuffaro. Poche settimane fa era solo uno dei cinque candidati del centrodestra a fare il sindaco del capoluogo: dopo l‘endorsement di Dell’Utri, invece, l’intera coalizione – pure i renziani senza simbolo – si è unita sul suo nome. Lega e Forza Italia prima hanno presentato un altro candidato, poi l’hanno fatto ritirare probabilmente su pressing di Arcore. Miccichè, già creatura politica di Dell’Utri, non l’ha presa bene se è arrivato a dire che il suo ex protettore “non conta più niente“. Dell’Utri, come spesso gli capita, ha risposto con una battuta fulminante: “Ha ragione, io esprimo i miei pareri e non mi permetto di dargli consigli. Ma che ci posso fare se mi danno retta anche i media“. In Sicilia cambieranno le amicizie ma non tutto il resto: le facce e i legami sono sempre gli stessi. Soprattutto i legami. Di sicuro c’è solo che trent’anni dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio un uomo condannato per concorso esterno a Cosa nostra, arrestato da latitante in Libano e che ha poi scontato una condanna a sette anni, detta ancora i tempi della politica sull’isola. Anche se fosse vero quello che dice lui, e cioè che all’hotel delle Palme parla solo di libri, è bastato il suo endorsement per trasformare Lagalla nel candidato di tutto il centrodestra unito. Mentre da Roma i politici si preparano a scendere in Sicilia per ricordare l’anniversario numero 30 degli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dunque, a Palermo tutti cercano Dell’Utri, uno che è ancora indagato a Firenze per le stragi del ’93 e che in passato lo era stato anche per quelle del ’92.

Il ritorno di vasa vasa – Diversa ma non molto la situazione di Cuffaro, il “vasa vasa” che baciava qualsiasi cosa a portata di smack, il potentissimo governatore che faceva stampare manifesti con scritto “la mafia fa schifo“, poco prima di finire condannato a sette anni per favoreggiamento a Cosa nostra. Come Dell’Utri pure Cuffaro ha scontato la sua pena. Poi è uscito ed è tornato a occuparsi della cosa che dice di amare di più: la politica. Non come candidato, visto che come Dell’Utri è interdetto dai pubblici uffici, ma come una sorta di maitre a penser dei moderati. L’ex governatore ha fondato un partito con un nome malinconico: si chiama Nuova Democrazia Cristiana e alle amministrative dell’anno scorso ha già raccolto un bel po’ di consiglieri comunali. Quando si tratta di prendere voti, insomma, Cuffaro ha ancora il suo peso specifico: il centrodestra ha cominciato a invitarlo ai vertici di coalizione e qualche mese fa Totò è tornato pure nella sede della presidenza della regione. “Musumeci mi ha voluto incontrare, mentre altri hanno avuto difficoltà, lui l’ha fatto”, ha detto Cuffaro, accolto con tutti gli onori dall’ex nemico che 15 anni fa preferiva correre in solitaria piuttosto che sostenerlo.

Polemiche e smentite che mancano – Ora, è il caso di sottolineare che Cuffaro e Dell’Utri hanno scontato la loro pena e dunque hanno tutto il diritto a dire come la pensano su comunali e regionali. Il problema è quando le loro opinioni – le opinioni di due condannati per legami con Cosa nostra – diventano potentissimi endorsement. Ecco perché il Centro Pio La Torre chiede ai candidati di rifiutare “pubblicamente, prima di tutto, ogni sponsorizzazione da uomini pregiudicati per collusione col sistema politico-mafioso”. La stessa richiesta inviata da Maria Falcone: “Chi si candida a ricoprire una carica importante come quella di sindaco e qualsiasi altra carica elettiva deve esplicitamente prendere le distanze da personaggi condannati per collusioni mafiose”. Alfredo Morvillo, il cognato di Falcone, è amaro: “A trent’anni dalle stragi la Sicilia è in mano a condannati per mafia. Davanti a questi fatti mi viene in mente un cattivo pensiero: certe morti sono stati inutili“. E’ solo a questo punto che Lagalla ha replicato. Avrebbe potuto dire che i voti di Cuffaro e Dell’Utri lui non li vuole. E invece ha rivendicato di avere un rapporto “antico” con l’ex governatore. Mentre per quanto riguarda Dell’Utri si è limitato a constatare di essere stato “oggetto passivo di una attestazione personale di considerazione da parte sua”. E Musumeci? Nessuna smentita nè presa di distanza, ma solo una lite verbale con Claudio Fava, reo di aver ricordato l’incontro dell’hotel delle Palme.

Peggio del Gattopardo – Insomma, indipendentemente da come andranno le elezioni, si può già dire che in Sicilia è finita peggio del Gattopardo. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, è la frase immortale che nel suo capolavoro Giuseppe Tomasi di Lampedusa fa pronunciare a Tancredi, il nipote del principe di Salina. Ma oggi, in Sicilia, si è andati oltre: del cambiamento non c’è più neanche la parvenza o l’impostura. Trent’anni dopo le stragi i condannati per legami con Cosa nostra sono tornati a farsi registi di alchimie politiche: un potere che sembra intoccabile solo perché nessuno sembra intenzionato a metterlo in dubbio. Nel frattempo a Capaci, il comune diventato tristemente noto per la strage Falcone, un consigliere comunale si è alzato e ha detto in municipio: “Questo è un paese di gente perbene. La mafia qualcuno dice che c’è? Che la trovasse..”. Forse in fondo il Gattopardo era quasi rivoluzionario.