Cronaca

Suicidi e salute mentale, una linea d’ascolto i carabinieri. Il generale Luzi: “Il disagio va superato con l’aiuto delle comunità”

Anche la polizia cerca soluzioni. Ci sono stati 326 casi di suicidio nella Polizia di Stato dal 1995 a oggi. "Non possiamo non prendere atto che c'è questo problema" ha detto il capo della Polizia Lamberti

Suicidi e problemi di salute mentale. In due diversi convegni carabinieri e polizia di Stato affrontano il tema che negli ultimi anni è diventato un fenomeno sempre più preoccupante. Tanto che è stato elaborato un progetto realizzato tramite una collaborazione tra l’Azienda ospedaliera universitaria Sant’Andrea di Roma e l’Arma. Il progetto Help line prevede l’istituzione di un numero telefonico che offre sostegno psicologico agli uomini e alle donne. “Credo molto in questa iniziativa – ha commentato il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri -. Credo che possa dare ascolto e soprattutto attenzione, quell’attenzione che probabilmente è mancata negli anni passati”.

“L’iniziativa di oggi testimonia la grande attenzione verso il personale” dice il comandante generale Teo Luzi nel corso della conferenza sulla prevenzione degli stati di disagio e la promozione del benessere nell’Arma. “L’argomento è reso attuale dalla emergenza sanitaria che ha generato una forte sensazione di incertezza e solitudine. Per altro la crisi o la guerra in corso ha generato ulteriori effetti collaterali, le immagini belliche generano dolore. Tali argomenti riportano al centro l’importanza della tutela dei cittadini e le relazioni umani e sociali”. “Il disagio nascendo nei luoghi di vita e di lavoro va superato con l’aiuto delle comunità stesse. L’arma è consapevole che il carabiniere è al centro e coltiva la cultura del noi”. “Il benessere di un carabiniere rappresenta un traguardo verso il quale si arriva tutti insieme, l’arma s’impegna a promuovere cultura del benessere e della prevenzione – ha proseguito Luzi – Il tema è molto più ampio rispetto quello sanitario. Le iniziative di collaborazione sono volte all’uso di strumenti innovativi per promuovere la creazione di serenità per perseguire i valori dell’Arma”.

Anche la polizia cerca soluzioni. “Ci sono stati 326 casi di suicidio nella Polizia di Stato dal 1995 a oggi, il trend è stabile – ha detto Fabrizio Ciprani, direttore Centrale di Sanità della Polizia di Stato, intervenuto al convegno ‘La problematica dei suicidi nella Polizia di Stato’ nella sede della Cgil a Roma – Da 1995 a oggi la media è di 12 casi annuali, più alta che nella popolazione generale”, ha sottolineato Ciprani aggiungendo però che il tasso di suicidi in Italia, sia nella Polizia che nella popolazione generale, è più basso rispetto ad altre nazioni europee. Tra i “motivi scatenanti” dei suicidi, ha spiegato Ciprani, quelli di “natura affettiva ed economici” ma generalmente nel caso dei suicidi sono diverse le motivazioni che, insieme, portano a un “degrado della qualità della vita che non consente di resistere a una situazione stressante”. Durante la pandemia Covid, ha continuato il direttore Centrale di Sanità della Polizia di Stato, c’è stata una “diminuzione dei suicidi, abbiamo registrato un tasso di suicidi minore. Ma dobbiamo stare attenti al dopo”.

“Non possiamo non prendere atto che c’è questo problema e non mettere tutto il nostro impegno per trovare soluzioni – ha detto il capo della Polizia Lamberto Giannini – Da parte della nostra Amministrazione c’è massima trasparenza per affrontare a viso aperto questa situazione e massima attenzione per limitare il disagio”. Giannini ha poi ricordato che, per quando riguarda il tema della sospensione dal servizio, si sta lavorando a una revisione delle attuali norme, ribadendo che “i provvedimenti di natura cautelare non devono incidere in maniera drammatica sulla vita del personale” e per questo “a chi occupa ruoli dirigenziali dico che è importante il rapporto col personale, la vicinanza e l’ascolto”. Secondo il segretario generale del Silp-Cgil Daniele Tissone il fenomeno “è ricorrente e attuale tra gli operatori. Abbiamo necessità di lavorare di più sulla prevenzione, di avere strumenti normativi adeguati e di superare lo scarso interesse o imbarazzo, che quasi nega l’accettazione dell’esistenza di un problema tra i lavoratori in divisa e che rappresenta il vero tabù da combattere”.