Diritti

La ‘pillola dei 5 giorni dopo’ riduce i ricorsi all’aborto. Ma a ProVita&Co. non piace lo stesso

Finalmente anche il Consiglio di Stato riconosce una verità evidente: la “pillola dei cinque giorni dopo” non è un farmaco abortivo. Da anni le correnti femministe – e chiunque si occupi di salute riproduttiva e bioetica – tentano di smontare la logica degli attivisti anti-scelta che lega erroneamente la contraccezione di emergenza all’aborto.

Sinceramente, mi pare una di quelle situazioni in cui la volpe per una volta potrebbe arrivare all’uva, ma non se ne rende conto. Mi spiego: la contraccezione d’emergenza, sin dal suo primo ingresso sul mercato farmaceutico, ha ridotto drasticamente il numero degli aborti, ancor di più da quando è stato possibile acquistarla senza prescrizione. Ora, premesso che l’accesso all’aborto dovrebbe essere ovunque gratuito, informato, sicuro e garantito, gli anti-scelta dovrebbero essere i primi ad andare a braccetto con EllaOne (e simili). Quest’ultima, infatti, agisce per impedire la fecondazione, quindi proprio per fare in modo che non si debba fare i conti – successivamente – con gli ostacoli di vario tipo relativi a un’interruzione volontaria di gravidanza.

Eppure, per ProVita&Co. neppure questa strada va bene. Dopo la sentenza del Tar del Lazio dello scorso anno, hanno presentato ricorsi collettivi (poi rigettati) per impedire che le ragazze sotto i 18 anni potessero accedere alla contraccezione d’emergenza senza prescrizione medica. La critica? Non ci sarebbero abbastanza studi e sperimentazioni… una falsità, semplicemente, visto che la pillola è stata assicurata su un campione di donne over 13 e over 18. In secondo luogo, si distribuirebbe EllaOne alla stregua di un’aspirina, senza considerare che gli effetti collaterali che provoca necessiterebbero di un consenso informato, quindi del ruolo chiave del o della professionista che firma la ricetta. Vogliamo leggerli insieme?

Nausea, dolore al seno, dolore pelvico, mal di testa, sbalzi d’umore, dolori muscolari, mal di schiena, stanchezza, diarrea, vampate di calore… mi fermo perché credo sia chiara l’antifona. Questi non solo sono “effetti collaterali” del naturale ciclo mestruale, ma sono anche paragonabili a quelli di un foglietto illustrativo qualunque. I pro-vita si preoccupano con così tanta apprensione anche di salvaguardare la salute di tutte le persone che prendono una tachipirina? O forse questa motivazione è l’ennesima scusa per provare a imporre il loro oscurantismo cattolico? La domanda è retorica, perché per rispondere basta leggere le sigle che hanno presentato il ricorso: associazione Family Day-Difendiamo i nostri figli, comunità Papa Giovanni XXIII, Associazione Medici Cattolici Italiani, ecc.

Su una cosa, incredibile ma vero, hanno ragione: troppo spesso manca una corretta informazione riguardo la contraccezione d’emergenza e non. E allora perché ci si scaglia costantemente contro l’educazione sessuale e sentimentale nelle scuole? La chiamano “minaccia gender”, protestano contro la serie per adolescenti SexEducation, trovano nelle destre al governo preziosi alleati e alleate per fare in modo che a scuola non si parli di rapporti protetti, pillole, anello contraccettivo, consenso, penetrazione, preliminari, del “salto della quaglia” propinato di recente come metodo contraccettivo persino dalla pagina Freeda (con immediate scuse), seguita da quasi 2 milioni di utenti.

Niente educazione alla contraccezione, ma soprattutto niente contraccezione: ecco il piano vincente di ProVita. In pratica un’adolescente non è abbastanza preparata per la contraccezione d’emergenza, non è abbastanza grande per l’educazione sessuale, ma per partorire o diventare madre è perfetta! Cortocircuito.