Ambiente & Veleni

Carrelli di Plastica | Riciclare non è sufficiente: la strategia della mia famiglia per ridurre i rifiuti

Crisi ecologica e climatica, guerre per il gas e il fossile, petroldittature… ogni giorno che passa è sempre più chiaro che se vogliamo vivere in un pianeta abitabile dobbiamo ridurre il consumo e la produzione di tutti i derivati fossili. La campagna di Greenpeace e ilfattoquotidiano.it, Carrelli di Plastica, punta i riflettori sulla plastica usa e getta che mettiamo nel carrello della spesa. Noi consumatori abbiamo effettivamente un potere enorme, possiamo far cambiare idea e strategie alle multinazionali e ai governi. Perché non usare questo potere?

Io e la mia famiglia da ormai dieci anni facciamo la nostra piccola parte cercando di ridurre al minimo i rifiuti:

1) Beviamo acqua dal rubinetto, con notevole risparmio economico, di fatica, di tempo (e di petrolio). Dentro casa usiamo la brocca, fuori casa la borraccia, cosa c’è di più comodo? L’acqua pubblica tra l’altro è più sana e controllata di quella minerale: l’acqua minerale viene controllata per legge solo una volta all’anno, tramite autocertificazione, mentre i controlli relativi alla rete idrica avvengono almeno quattro volte all’anno e sono compiuti dalla Asl. Per non parlare del fatto che le bottiglie di plastica, se si trovano in ambienti troppo caldi, possono rilasciare sostanze dannose come ftalati e antimonio. Se nella vostra zona l’acqua non è potabile (casi rari) potreste farvi consegnare acqua minerale in bottiglia di vetro vuoto a rendere.

2) Compriamo preferibilmente alimenti sfusi, non imballati, portandoci sporte e contenitori da casa: andiamo nei mercatini diretti di frutta e verdura, nei negozietti sfusi (anche se purtroppo ne sono rimasti pochi), evitiamo di comprare prodotti ultraprocessati (merendine, snack..) e autoproduciamo biscotti e snack a casa con ingredienti semplici e locali. Dai Gruppi di Acquisto solidale acquistiamo riso in sacchi da 5 kg di stoffa, i ceci bio da produttore locale in sacchi da 20 kg da smistare tra famiglie, pasta e farina in sacchi da 5 kg e così via… Il dentifricio lo compriamo in vasetti di vetro vuoto a rendere, un prodotto artigianale dalla nostra erborista di fiducia. Lo shampoo è alla spina, e così via, per ogni cosa cerchiamo di riutilizzare l’imballaggio.

3) Ora che si ricominciano a festeggiare compleanni e a fare picnic, abbiamo rispolverato la nostra bella stoviglioteca, un kit di circa 50 bicchieri e stoviglie colorate e lavabili. Quando non serve a noi prestiamo il kit gratuitamente a chiunque lo voglia usare per festicciole ecologiche. Sono le cosiddette “stoviglioteche” (su Facebook troverete il gruppo “piccole stoviglioteche crescono” dove poter chiedere se ci sono stoviglioteche vicine).

4) Nell’orto urbano che abbiamo in affitto dal comune evitiamo ogni oggetto in plastica, in particolare i famigerati “legacci” verdi, che si sminuzzano e si accumulano nel terreno per secoli. Usiamo spago, canapa, vimini, insomma tutto materiale naturale. I regolamenti comunali dovrebbero vietare i legacci in plastica: in alcune città come Parma, i legacci compostabili vengono regalati dal comune agli ortolani!

5) Utilizziamo solo mascherine lavabili, in cotone ecologico lavabile, (o FFP2 lavabili a seconda dei contesti) certificate dal Ministero della Salute. Anche la scuola dei nostri figli accetta queste mascherine, visto che sono certificate. Finché toccherà usarle (altra dolente storia), almeno ci risparmieremo una pezza di plastica davanti a naso e bocca, col rischio di inalarne le microfibre. Ogni giorno miliardi di mascherine vengono usate e gettate nel mondo. Non essendo riciclabili, possono essere soltanto bruciate, rilasciando diossina, polveri sottili, IPA e Co2. Una buona quantità di queste mascherine si disperde nell’ambiente andandosi a sommare alla enorme quantità di plastica già presente tra oceani e montagne.

Le mascherine sono il nuovo flagello ambientale, hanno perfino soppiantato le bottigliette di plastica e le cannucce. Si trovano ormai ovunque, dai parchi ai fossi, dai torrenti agli oceani, dalle montagne alle fogne di città. Si sfaldano in microfibre e restano nell’ambiente per secoli finché non entrano nella catena alimentare. Gli uccelli vi restano impigliati con le zampe, oppure rischiano di rimanere strangolati dai lacci. La folaga eurasiatica, un uccello alto 30 centimetri dal becco bianco, è stata vista nei Paesi Bassi raccogliere mascherine per costruirci il nido. Una scena tristissima, distopica, che dovrebbe farci riflettere. Credo che sia necessario mettere al bando le mascherine usa e getta, come già fatto con altri prodotti, permettendo il loro utilizzo solo negli ambienti ospedalieri.

Servono inoltre leggi che impongano (e permettano) il vuoto a rendere, il riutilizzo dei contenitori, che privilegino lo sfuso e la vendita alla spina, che spingano all’utilizzo dei prodotti lavabili e penalizzino quelli usa e getta, tassandoli pesantemente. A Lamezia Terme un coraggioso gelatiere invita i suoi clienti a portarsi il contenitore lavabile da casa: perché questa pratica non si diffonde e non viene incoraggiata dalle amministrazione e dallo Stato? Qui in Italia, oltre a non riuscire a imporre una blanda tassa sulla plastica, lo Stato ostacola la riduzione degli imballaggi. Per un’ossessiva e ottusa difesa dell’igiene, si inquinano il suolo e l’aria a discapito della salute comune. Nei paesi oltralpe, anche durante la pandemia, è continuato senza intoppi il vuoto a rendere e l’utilizzo di contenitori riusabili perfino per l’asporto (progetto ReCircle).

Dobbiamo metterci in testa che riciclare non è sufficiente, anche perché la plastica non è riciclabile all’infinito e l’intero ciclo richiede energia e materie prime. Non è un cerchio che si chiude: l’unica soluzione, se vogliamo vivere in un pianeta abitabile, è ridurre.